Page 842 - Giorgio Vasari
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in  San  Francesco  finì  l'opera  della  già  detta  madonna  Atalanta
               Baglioni,  della  quale  aveva  fatto,  come  si  è  detto,  il  cartone  in
               Fiorenza.  E  in  questa  divinissima  pittura  un  Cristo  morto  portato  a
               sotterrare,  condotto  con  tanta  freschezza  e  sì  fatto  amore,  che  a
               vederlo pare fatto pur ora. Immaginossi Raffaello nel componimento

               di questa opera il dolore che hanno i più stretti et amorevoli parenti
               nel riporre il corpo d'alcuna più cara persona, nella quale veramente
               consista il bene, l'onore e l'utile di tutta una famiglia: vi si vede la

               Nostra  Donna  venuta  meno,  e  le  teste  di  tutte  le  figure  molto
               graziose nel pianto e quella particolarmente di San Giovanni, il quale,
               incrocicchiate  le  mani,  china  la  testa  con  una  maniera  da  far
               comuovere qual è più duro animo a pietà. E di vero chi considera la
               diligenza, l'amore, l'arte e la grazia di quest'opera, ha gran ragione di

               maravigliarsi perché ella fa stupire chiunque la mira per l'aria delle
               figure, per la bellezza de' panni et insomma per una estrema bontà
               ch'ell'ha in tutte le parti. Finito questo lavoro e tornato a Fiorenza, gli

               fu  dai  Dei,  cittadini  fiorentini,  allogata  una  tavola  che  andava  alla
               cappella dell'altar loro in Santo Spirito; et egli la cominciò e la bozza
               a  bonissimo  termine  condusse,  et  intanto  fece  un  quadro  che  si
               mandò in Siena, il quale nella partita di Raffaello rimase a Ridolfo del
               Ghirlandaio,  perch'egli  finisse  un  panno  azzurro  che  vi  mancava.  E

               questo  avvenne  perché  Bramante  da  Urbino,  essendo  a'  servigi  di
               Giulio II, per un poco di parentela ch'aveva con Raffaello e per essere
               di  un  paese  medesimo,  gli  scrisse  che  aveva  operato  col  Papa,  il

               quale aveva fatto fare certe stanze ch'egli potrebbe in quelle mostrar
               il valor suo. Piacque il partito a Raffaello, perché lasciate l'opere di
               Fiorenza e la tavola dei Dei non finita, ma in quel modo che poi la
               fece porre Messer Baldassarre da Pescia nella Pieve della sua patria
               dopo la morte di Raffaello, si trasferì a Roma, dove giunto, Raffaello

               trovò che gran parte delle camere di palazzo erano state dipinte e
               tuttavia  si  dipignevano  da  più  maestri;  e  così  stavano,  come  si
               vedeva,  che  ve  n'era  una  che  da  Pietro  della  Francesca  vi  era  una

               storia finita, e Luca da Cortona aveva condotta a buon termine una
               facciata, e don Pietro della Gatta, abbate di San Clemente di Arezzo,
               vi aveva cominciato alcune cose; similmente Bramantino da Milano vi
               aveva dipinto molte figure, le quali la maggior parte erano ritratti di
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