Page 445 - Giorgio Vasari
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investigando a tutte le pietre grosse una buca nel mezzo per ciascuna
               in  sotto  squadra,  trovò  esser  quel  ferro,  che  è  da  noi  chiamato  la
               ulivella, con che si tira su le pietre; et egli lo rinovò e messelo in uso
               di poi. Fu adunque da lui messo da parte, ordine per ordine, dorico,
               ionico e corinzio: e fu tale questo studio, che rimase il suo ingegno

               capacissimo  di  potere  veder  nella  immaginazione  Roma  come  ella
               stava quando non era rovinata. Fece l'aria di quella città un poco di
               novità l'anno 1407 a Filippo; onde egli, consigliato da' suoi amici a

               mutar aria, se ne tornò a Fiorenza. Nella quale, per l'assenza sua, si
               era patito in molte muraglie, per le quali diede egli a la sua venuta
               molti disegni e molti consigli. Fu fatto il medesimo anno una ragunata
               d'architettori  e  d'ingegneri  del  paese,  sopra  il  modo  del  voltar  la
               cupola, dagli Operai di Santa Maria del Fiore e da' Consoli dell'Arte

               della Lana, intra' quali intervenne Filippo, e dette consiglio che era
               necessario  cavare  l'edifizio  fuori  del  tetto  e  non  fare  secondo  il
               disegno  d'Arnolfo,  ma  fare  un  fregio  di  braccia  XV  d'altezza  et  in

               mezzo a ogni faccia fare un occhio grande, perché oltra che leverebbe
               il peso fuor delle spalle delle tribune, verrebbe la cupola a voltarsi più
               facilmente. E così se ne fece modelli e si messe in esecuzione.

               Filippo,  dopo  alquanti  mesi  riavuto,  essendo  una  mattina  in  su  la
               piazza di S. Maria del Fiore con Donato et altri artefici, si ragionava
               delle  antichità  delle  cose  della  scultura,  e  raccontando  Donato  che

               quando  e'  tornava  da  Roma  aveva  fatto  la  strada  da  Orvieto  per
               veder quella facciata del Duomo di marmo, tanto celebrata, lavorata
               di mano di diversi maestri, tenuta cosa notabile in que' tempi; e che
               nel  passar  poi  da  Cortona  entrò  in  Pieve,  e  vide  un  pilo  antico

               bellissimo  dove  era  una  storia  di  marmo,  cosa  allora  rara  non
               essendosi  disotterrata  quella  abbondanza  che  si  è  fatta  ne'  tempi
               nostri, e così seguendo Donato il modo che aveva usato quel maestro
               a  condurre  quell'opera,  e  la  fine  che  vi  era  dentro,  insieme  con  la

               perfezzione e bontà del magisterio, accese sì Filippo di una ardente
               volontà di vederlo, che così come egli era, in mantello, in cappuccio
               et  in  zoccoli,  senza  dir  dove  andasse,  si  partì  da  loro  a  piedi  e  si
               lasciò portare a Cortona dalla volontà et amore ch'e' portava all'arte.

               E veduto e piaciutogli il pilo, lo ritrasse con la penna in disegno; e con
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