Page 202 - Giorgio Vasari
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conosciuto." Il mandato, vedendo non potere altro avere, si partì da
lui assai male sodisfatto, dubitando non essere ucellato. Tuttavia
mandando al Papa gli altri disegni e i nomi di chi li aveva fatti, mandò
anco quel di Giotto, raccontando il modo che aveva tenuto nel fare il
suo tondo senza muovere il braccio e senza seste. Onde il Papa e
molti cortigiani intendenti conobbero per ciò quanto Giotto avanzasse
d'eccellenza tutti gli altri pittori del suo tempo. Divolgatasi poi questa
cosa, ne nacque il proverbio che ancora è in uso dirsi agli uomini di
grossa pasta: "Tu sei più tondo che l'O di Giotto": il qual proverbio
non solo per lo caso donde nacque si può dir bello, ma molto più per
lo suo significato, che consiste nell'ambiguo, pigliandosi "tondo" in
Toscana, oltre alla figura circolare perfetta, per tardità e grossezza
d'ingegno.
Fecelo dunque il predetto Papa andare a Roma, dove onorando molto
e riconoscendo la virtù di lui, gli fece nella tribuna di S. Piero
dipignere cinque storie della vita di Cristo, e nella sagrestia la tavola
principale, che furono da lui con tanta diligenza condotte, che non
uscì mai a tempera delle sue mani il più pulito lavoro; onde meritò
che il Papa, tenendosi ben servito, facesse dargli per premio secento
ducati d'oro, oltre avergli fatto tanti favori, che ne fu detto per tutta
Italia.
Fu in questo tempo a Roma molto amico di Giotto (per non tacere
cosa degna di memoria che appartenga all'arte) Oderigi d'Agobbio
eccellente miniatore in que' tempi, il quale condotto perciò dal Papa
miniò molti libri per la libreria di palazzo, che sono in gran parte oggi
consumati dal tempo. E nel mio libro de' disegni antichi sono alcune
reliquie di man propria di costui, che invero fu valente uomo;
sebbene fu molto miglior maestro di lui Franco Bolognese miniatore,
che per lo stesso Papa e per la stessa libreria ne' medesimi tempi
lavorò assai cose eccellentemente in quella maniera, come si può
vedere nel detto libro, dove ho di sua mano disegni di pitture e di
minio, e fra essi un'aquila molto ben fatta, et un lione che rompe un
albero, bellissimo. Di questi due miniatori eccellenti fa menzione
Dante nell'undecimo capitolo del Purgatorio, dove si ragiona de'
vanagloriosi, con questi versi: