Page 200 - Giorgio Vasari
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sono tutte veramente belle e lodevoli.
Finito dunque che ebbe per ultimo il detto S. Francesco, se ne tornò a
Firenze, dove giunto dipinse per mandare a Pisa in una tavola un S.
Francesco ne l'orribile sasso della Vernia, con straordinaria diligenza:
perché oltre a certi paesi pieni di alberi e di scogli, che fu cosa nuova
in que' tempi, si vede nell'attitudini di S. Francesco, che con molta
prontezza riceve ginocchioni le stimate, un ardentissimo desiderio di
riceverle et infinito amore verso Gesù Cristo, che in aria circondato di
Serafini gliele concede, con sì vivi affetti, che meglio non è possibile
immaginarsi. Nel disotto poi della medesima tavola, sono tre storie
della vita del medesimo, molto belle.
Questa tavola, la quale oggi si vede in S. Francesco di Pisa in un
pilastro accanto all'altar maggiore, tenuta in molta venerazione per
memoria di tanto uomo, fu cagione che i Pisani, essendosi finita
appunto la fabbrica di Camposanto, secondo il disegno di Giovanni di
Nicola Pisano, come si disse di sopra, diedero a dipignere a Giotto
parte delle facciate di dentro, acciò che, come tanta fabrica era tutta
di fuori incrostata di marmi e d'intagli fatti con grandissima spesa,
coperto di piombo il tetto, e dentro piena di pile e sepolture antiche,
state de' Gentili e recate in quella città di varie parti del mondo, così
fusse ornata dentro nelle facciate di nobilissime pitture. Perciò,
dunque, andato Giotto a Pisa, fece nel principio d'una facciata di quel
Camposanto sei storie grandi in fresco del pazientissimo Iobbe; e
perché giudiziosamente considerò che i marmi da quella parte della
fabrica dove aveva a lavorare erano volti verso la marina, e che tutti
essendo saligni per gli scilocchi, sempre sono umidi e gettano una
certa salsedine, sì come i mattoni di Pisa fanno per lo più, e che
perciò acciecano e si mangiano i colori e le pitture; fece fare, perché
si conservasse quanto potesse il più l'opera sua, per tutto dove
voleva lavorare in fresco, in arricciato o vero intonaco o incrostatura
che vogliam dire, con calcina, gesso e matton pesto mescolati così a
proposito, che le pitture che egli poi sopra vi fece, si sono insino a
questo giorno conservate. E meglio, starebbono, se la
stracurataggine di chi ne doveva aver cura non l'avesse lasciate
molto offendere dall'umido; perché il non avere a ciò, come si poteva