Page 196 - Giorgio Vasari
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anderebbe  volentieri.  Dimandandolo  dunque  Cimabue  a  Bondone,

               egli  amorevolmente  glielo  concedette,  e  si  contentò  che  seco  lo
               menasse  a  Firenze;  là  dove  venuto,  in  poco  tempo,  aiutato  dalla
               natura et ammaestrato da Cimabue, non solo pareggiò il fanciullo la
               maniera  del  maestro  suo,  ma  divenne  così  buono  imitatore  della

               natura, che sbandì affatto quella goffa maniera greca, e risuscitò la
               moderna e buona arte della pittura, introducendo il ritrarre bene di
               naturale le persone vive, il che più di dugento anni non s'era usato: e

               se pure si era provato qualcuno, come si è detto di sopra, non gli era
               ciò  riuscito  molto  felicemente,  né  così  bene  a  un  pezzo,  come  a
               Giotto.  Il  quale  fra  gl'altri  ritrasse,  come  ancor  oggi  si  vede,  nella
               capella del palagio del podestà di Firenze, Dante Alighieri coetaneo
               et amico suo grandissimo, e non meno famoso poeta, che si fusse ne'

               medesimi  tempi  Giotto  pittore,  tanto  lodato  da  messer  Giovanni
               Boccaccio nel proemio della novella di messer Forese da Rabatta e di
               esso Giotto dipintore. Nella medesima capella è il ritratto, similmente

               di mano del medesimo, di ser Brunetto Latini maestro di Dante, e di
               messer Corso Donati gran cittadino di que' tempi.

               Furono  le  prime  pitture  di  Giotto  nella  capella  dell'altar  maggiore
               della Badia di Firenze, nella quale fece molte cose tenute belle, ma
               particolarmente  una  Nostra  Donna  quando  è  annunziata;  perché  in
               essa  espresse  vivamente  la  paura  e  lo  spavento  che  nel  salutarla

               Gabriello  mise  in  Maria  Vergine,  la  qual  pare  che  tutta  piena  di
               grandissimo timore voglia quasi mettersi in fuga.

               È di mano di Giotto parimente la tavola dell'altar maggiore di detta
               cappella, la quale vi si è tenuta insino a oggi et anco vi si tiene, più
               per  una  certa  reverenza  che  s'ha  all'opera  di  tanto  uomo,  che  per
               altro. E in S. Croce sono quattro cappelle di mano del medesimo, tre

               fra  la  sagrestia  e  la  capella  grande,  et  una  dall'altra  banda.  Nella
               prima delle tre, la quale è di messer Ridolfo de' Bardi, che è quella
               dove  sono  le  funi  delle  campane,  è  la  vita  di  S.  Francesco,  nella
               morte  del  quale  un  buon  numero  di  frati  mostrano  assai

               acconciamente l'effetto del piangere. Nell'altra, che è della famiglia
               de' Peruzzi, sono due storie della vita di S. Giovanni Battista al quale
               è  dedicata  la  capella:  dove  si  vede  molto  vivamente  il  ballare  e
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