Page 1977 - Giorgio Vasari
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quella chiesa, fui contento di farla, ma con facultà di potervi fare a
mio capriccio alcuna cosa di S. Gismondo, alludendo al nome di detto
testatore. La quale convenzione fatta, mi ricordai avere inteso che
Filippo di ser Brunellesco architetto di quella chiesa avea data quella
forma a tutte le cappelle, acciò in ciascuna fusse fatta, non una
piccola tavola, ma alcuna storia o pittura grande, che empiesse tutto
quel vano. Per che, disposto a volere in questa parte seguire la
volontà et ordine del Brunellesco, più guardando all'onore che al
picciol guadagno che di quell'opera destinata a far una tavola piccola
e con poche figure potea trarre, feci in una tavola larga braccia dieci
et alta tredici la storia, o vero martirio di San Gismondo re, cioè
quando egli, la moglie e due figliuoli furono gettati in un pozzo da un
altro re, o vero tiranno, e feci che l'ornamento di quella cappella, il
quale è mezzo tondo, mi servisse per vano della porta d'un gran
palazzo, rustica, per la quale si avesse la veduta del cortile quadro,
sostenuto da pilastri e colonne doriche, e finsi che per lo straforo di
quella si vedesse nel mezzo un pozzo a otto facce, con salita intorno
di gradi, per i quali salendo i ministri, portassono a gettare detti due
figliuoli nudi nel pozzo; et intorno nelle logge dipinsi popoli che
stanno da una parte a vedere quell'orrendo spettacolo, e nell'altra,
che è la sinistra, feci alcuni masnadieri, i quali avendo presa con
fierezza la moglie del re, la portano verso il pozzo per farla morire. Et
in sulla porta principale feci un gruppo di soldati che legano San
Gismondo, il quale con attitudine relassata e paziente mostra patir
ben volentieri quella morte e martirio, e sta mirando in aria quattro
Angeli che gli mostrano le palme e corone del martirio, sue, della
moglie e de' figliuoli, la qual cosa pare che tutto il riconforti e consoli.
Mi sforzai similmente di mostrare la crudeltà e fierezza dell'empio
tiranno, che sta in sul pian del cortile di sopra a vedere quella sua
vendetta e la morte di San Gismondo. Insomma, quanto in me fu, feci
ogni opera che in tutte le figure fussero più che si può i proprii affetti
e convenienti attitudini e fierezze, e tutto quello si richiedeva; il che
quanto mi riuscisse, lascerò ad altri farne giudizio. Dirò bene che io vi
misi quanto potei e seppi di studio, fatica e diligenza. Intanto
disiderando il signor duca Cosimo che il libro delle vite, già condotto