Page 1962 - Giorgio Vasari
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l'opere del Coreggio, quelle di Giulio Romano in Mantoa, e l'antichità

               di Verona finalmente. Giunto in Vinezia con due quadri dipinti di mia
               mano  con  i  cartoni  di  Michelagnolo,  gli  donai  a  don  Diego  di
               Mendozza,  che  mi  mandò  dugento  scudi  d'oro.  Né  molto  dimorai  a
               Vinezia, che pregato dall'Aretino feci ai signori della Calza l'apparato

               d'una  loro  festa,  dove  ebbi  in  mia  compagnia  Batista  Cungi,  e
               Cristofano  Gherardi  dal  Borgo  S.  Sepolcro,  e  Bastiano  Flori  aretino
               molto  valenti  e  pratichi,  di  che  si  è  in  altro  luogo  ragionato  a

               bastanza, e gli nove quadri di pittura nel palazzo di Messer Giovanni
               Cornaro, cioè nel soffittato d'una camera del suo palazzo, che è da
               San Benedetto.

               Dopo queste et altre opere di non piccola importanza che feci allora
               in Vinezia, me ne partii, ancor che io fussi soprafatto dai lavori che mi
               venivano per le mani, alli sedici d'agosto l'anno 1542, e tornaimene in

               Toscana  dove,  avanti  che  ad  altro  volessi  por  mano,  dipinsi  nella
               volta  d'una  camera,  che  di  mio  ordine  era  stata  murata  nella  già
               detta  mia  casa,  tutte  l'arti  che  sono  sotto  il  disegno  o  che  da  lui
               dependono;  nel  mezzo  è  una  Fama,  che  siede  sopra  la  palla  del

               mondo e suona una tromba d'oro, gettandone via una di fuoco finta
               per la Maledicenza, et intorno a lei sono con ordine tutte le dette arti
               con i loro strumenti in mano. E perché non ebbi tempo a far il tutto,
               lasciai otto ovati per fare in essi otto ritratti di naturale de' primi delle

               nostre arti.
               Ne' medesimi giorni feci alle monache di Santa Margherita di quella

               città, in una cappella del loro orto, a fresco una Natività di Cristo di
               figure grandi quanto il vivo. E così consumata che ebbi nella patria il
               resto  di  quella  state  e  parte  dell'autunno,  andai  a  Roma.  Dove
               essendo dal detto Messer Bindo ricevuto e molto carezzato, gli feci in

               un quadro a olio un Cristo quanto il vivo levato di croce e posto in
               terra a' piedi della madre, e nell'aria Febo che oscura la faccia del
               sole  e  Diana  quella  della  luna.  Nel  paese  poi,  oscurato  da  queste
               tenebre,  si  veggiono  spezzarsi  alcuni  monti  di  pietra,  mossi  dal

               terremoto che fu nel patir del Salvatore; e certi morti corpi di Santi si
               veggiono, risorgendo, uscire de' sepolcri in varii modi. Il quale quadro
               finito  che  fu,  per  sua  grazia  non  dispiacque  al  maggior  pittore,
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