Page 1961 - Giorgio Vasari
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e finalmente in ogni cosa. Mi diede Messer Bindo, per le fatiche di
questa tavola, trecento scudi d'oro, et inoltre l'anno seguente mi fece
tante cortesie et amorevolezze in casa sua in Roma, dove gli feci in
un piccol quadro, quasi di minio, la pittura di detta tavola, che io sarò
sempre alla sua memoria ubbligato.
Nel medesimo tempo ch'io feci questa tavola che fu posta, come ho
detto, in S. Apostolo, feci a Messer Ottaviano de' Medici una Venere
et una Leda con i cartoni di Michelagnolo, et in un gran quadro un
San Girolamo, quanto il vivo, in penitenza, il quale contemplando la
morte di Cristo, che ha dinanzi in sulla croce, si percuote il petto, per
scacciare della mente le cose di Venere e le tentazioni della carne,
che alcuna volta il molestavano, ancor che fusse nei boschi e luoghi
solinghi e salvatichi, secondo che egli stesso di sé largamente
racconta. Per lo che dimostrare, feci una Venere, che con Amore in
braccio fugge da quella contemplazione, avendo per mano il Giuoco
et essendogli cascate per terra le frecce et il turcasso; senzaché le
saette da Cupido tirate verso quel Santo, tornano rotte verso di lui, et
alcune, che cascano, gli sono riportate col becco dalle colombe di
essa Venere. Le quali tutte pitture, ancora che forse allora mi
piacessero e da me fussero fatte come seppi il meglio, non so quanto
mi piacciano in questa età. Ma perché l'arte in sé è dificile, bisogna
torre da chi fa quel che può. Dirò ben questo, però che lo posso dire
con verità, d'avere sempre fatto le mie pitture, invenzioni e disegni
comunche sieno, non dico con grandissima prestezza, ma sì bene con
incredibile facilità e senza stento: di che mi sia testimonio, come ho
detto in altro luogo, la grandissima tela ch'io dipinsi in San Giovanni
di Firenze in sei giorni soli l'anno 1542, per lo battesimo del signor
don Francesco Medici, oggi principe di Firenze e di Siena.
Ora se bene io voleva, dopo quest'opere, andare a Roma per
satisfare a Messer Bindo Altoviti, non mi venne fatto; perciò che
chiamato a Vinezia da Messer Pietro Aretino, poeta allora di
chiarissimo nome e mio amicissimo, fui forzato, perché molto
disiderava vedermi, andar là; il che feci anco volentieri per vedere
l'opere di Tiziano e d'altri pittori in quel viaggio. La qual cosa mi
venne fatta, però che in pochi giorni vidi in Modena et in Parma