Page 1957 - Giorgio Vasari
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anticaglie a mio capriccio con statue rotte, et altre cose somiglianti.

               Et insomma condussi quell'opera con tutte le forze e saper mio, e se
               bene  non  arrivai  con  la  mano  e  col  pennello  al  gran  disiderio  e
               volontà di ottimamente operare, quella pittura nondimeno a molti è
               piaciuta.  Onde  Messer  Fausto  Sabeo,  uomo  letteratissimo  et  allora

               custode della libreria del Papa, fece, e dopo lui alcuni altri, molti versi
               latini  in  lode  di  quella  pittura,  mossi  per  aventura  più  da  molta
               affezzione, che dall'eccellenza dell'opera; comunche sia, se cosa vi è

               di buono, fu dono di Dio.
               Finita  quella  tavola,  si  risolverono  i  padroni  che  io  facessi  a  fresco

               nella facciata le storie che vi andavano; onde feci sopra la porta il
               ritratto dell'eremo, da un lato San Romualdo con un doge di Vinezia,
               che fu sant'uomo, e dall'altro una visione, che ebbe il detto Santo là
               dove fece poi il suo eremo, con alcune fantasie, grottesche et altre

               cose  che  vi  si  veggiono.  E  ciò  fatto,  mi  ordinarono  che  la  state
               dell'anno  a  venire  io  tornassi  a  fare  la  tavola  dell'altar  grande.
               Intanto  il  già  detto  don  Miniato  Pitti,  che  allora  era  visitator  della
               congregazione di Monte Uliveto, avendo veduta la tavola del Monte S.

               Savino e l'opere di Camaldoli, trovò in Bologna don Filippo Serragli
               fiorentino, abbate di S. Michele in Bosco, e gli disse che avendosi a
               dipignere  il  refettorio  di  quell'onorato  monasterio,  gli  pareva  che  a
               me  e  non  ad  altri  si  dovesse  quell'opera  allogare;  per  che  fattomi

               andare a Bologna, ancor che l'opera fusse grande e d'importanza, la
               tolsi a fare, ma prima volli vedere tutte le più famose opere di pittura
               che fussero in quella città, di bolognesi e d'altri. L'opera dunque della
               testata  di  quel  refettorio  fu  divisa  in  tre  quadri:  in  uno  aveva  ad

               essere quando Abramo nella valle Mambre apparecchiò da mangiare
               agl'Angeli; nel secondo Cristo che essendo in casa di Maria Madalena
               e Marta, parla con essa Marta, dicendogli che Maria ha eletto l'ottima
               parte; e nella terza aveva da essere dipinto S. Gregorio a mensa co'

               dodici poveri, fra i quali conobbe essere Cristo. Per tanto messo mano
               all'opera in quest'ultima finsi San Gregorio a tavola in un convento, e
               servito  da  monaci  bianchi  di  quell'Ordine,  per  potervi  accomodare
               que' padri, secondo che essi volevano. Feci, oltre ciò, nella figura di

               quel  santo  Pontefice  l'effigie  di  papa  Clemente  VII,  et  intorno,  fra
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