Page 1959 - Giorgio Vasari
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prezzo di tutto mi contentai che fusse dugento scudi, come quelli che
               più aspirava alla gloria che al guadagno. Onde Messer Andrea Alciati
               mio  amicissimo,  che  allora  leggeva  in  Bologna,  vi  fece  far  sotto
               queste  parole:  "Octonis  mensibus  opus  ab  Aretino  Georgio  pictum,
               non  tam  praecio,  quam  amicorum  obsequio,  et  honoris  voto  anno

               1539. Philippus Serralius pon. curavit".

               Feci  in  questo  medesimo  tempo  due  tavolette  d'un  Cristo  morto  e
               d'una Ressurrezzione, le quali furono da don Miniato Pitti abate poste
               nella  chiesa  di  Santa  Maria  di  Barbiano  fuor  di  San  Gimignano  di
               Valdelsa; le quali opere finite, tornai subito a Fiorenza, perciò che il

               Trevisi, maestro Biagio et altri pittori bolognesi, pensando che io mi
               volessi acasare in Bologna e torre loro di mano l'opere et i lavori, non
               cessavano d'inquietarmi, ma più noiavano loro stessi che me, il quale
               di certe lor passioni e modi mi rideva. In Firenze adunque copiai da

               un ritratto grande infino alle ginocchia un cardinale Ipolito a Messer
               Ottaviano, et altri quadri con i quali mi andai trattenendo in que' caldi
               insoportabili della state. I quali venuti, mi tornai alla quiete e fresco
               di Camaldoli, per fare la detta tavola dell'altar maggiore. Nella quale

               feci un Cristo che è deposto di croce, con tutto quello studio e fatica
               che maggiore mi fu possibile; e perché col fare e col tempo mi pareva
               pur migliorare qualche cosa, né mi sodisfacendo della prima bozza,
               gli  ridetti  di  mestica  e  la  rifeci  quale  la  si  vede  di  nuovo  tutta.  Et

               invitato dalla solitudine, feci in quel medesimo luogo dimorando un
               quadro al detto Messer Ottaviano, nel quale dipinsi un San Giovanni
               ignudo  e  giovinetto,  fra  certi  scogli  e  massi  e  che  io  ritrassi  dal
               naturale di que' monti.

               Né  a  pena  ebbi  finite  quest'opere,  che  capitò  a  Camaldoli  Messer
               Bindo  Altoviti,  per  fare  dalla  cella  di  Santo  Alberigo,  luogo  di  que'

               padri, una condotta a Roma per via del Tevere, di grossi abeti, per la
               fabrica di San Piero; il quale veggendo tutte l'opere da me state fatte
               in  quel  luogo,  e  per  mia  buona  sorte  piacendogli,  prima  che  di  lì
               partisse,  si  risolvé  che  io  gli  facessi  per  la  sua  chiesa  di  Santo

               Apostolo di Firenze una tavola. Per che finita quella di Camaldoli con
               la facciata della cappella in fresco, dove feci esperimento di unire il
               colorito  a  olio  con  quello,  e  riuscimmi  assai  acconciamente,  me  ne
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