Page 1956 - Giorgio Vasari
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Ma ciò non mi venne fatto se non poi che ebbi fatto al detto Messer

               Ottaviano  una  copia  del  quadro,  nel  quale  ritrasse  già  Raffaello  da
               Urbino  papa  Leone,  Giulio  cardinale  de'  Medici  et  il  cardinale  de'
               Rossi, perciò che il Duca rivoleva il proprio, che allora era in potere di
               esso  Messer  Ottaviano.  La  qual  copia  che  io  feci  è  oggi  nelle  case

               degl'eredi di quel signore, il quale nel partirmi per Roma mi fece una
               lettera  di  cambio  di  500  scudi  a  Giovanbatista  Puccini,  che  me  gli
               pagasse  ad  ogni  mia  richiesta,  dicendomi:  "Serviti  di  questi  per

               potere attendere a' tuoi studii; quando poi n'arai il commodo, potrai
               rendermegli o in opere, o in contanti a tuo piacimento".

               Arrivato dunque in Roma di febraio l'anno 1538, vi stei tutto giugno,
               attendendo,  in  compagnia  di  Giovanbatista  Cungi  dal  Borgo  mio
               garzone, a disegnare tutto quello che mi era rimaso indietro l'altre
               volte che era stato in Roma, et in particolare ciò che era sotto terra

               nelle  grotte.  Né  lasciai  cosa  alcuna  d'architettura  o  scultura  che  io
               non disegnassi e non misurassi; in tanto che posso dire con verità che
               i disegni ch'io feci in quello spazio di tempo furono più di trecento.
               De' quali ebbi poi piacere et utile molti anni in rivedergli, e rinfrescare

               la memoria delle cose di Roma. Le quali fatiche e studio, quanto mi
               giovassero, si vide tornato che fui in Toscana nella tavola, che io feci
               al Monte San Savino, nella quale dipinsi con alquanto miglior maniera
               un'Assunzione  di  Nostra  Donna,  e  da  basso,  oltre  agl'Apostoli  che

               sono intorno al sepolcro, Santo Agostino e San Romualdo.
               Andato  poi  a  Camaldoli,  secondo  che  avea  promesso  a  que'  padri

               romiti, feci nell'altra tavola del tramezzo la Natività di Gesù Cristo,
               fingendo  una  notte  alluminata  dallo  splendore  di  Cristo  nato,
               circondato  da  alcuni  pastori  che  l'adorano.  Nel  che  fare  andai
               imitando con i colori i raggi solari, e ritrassi le figure e tutte l'altre

               cose di quell'opera dal naturale e col lume, acciò fussero più che si
               potesse simili al vero. Poi, perché quel lume non potea passare sopra
               la capanna, da quivi in su et all'intorno, feci che suplisse un lume che
               viene dallo splendore degl'Angeli che in aria cantano Gloria in excelsis

               Deo, senzaché in certi luoghi fanno lume i pastori, che vanno attorno
               con covoni di paglia accesi, et in parte la luna, la stella e l'Angelo che
               apparisce  a  certi  pastori.  Quanto  poi  al  casamento,  feci  alcune
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