Page 1954 - Giorgio Vasari
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ne donò il Duca trecento, che si levarono a coloro che non avevano
               condotto a fine le loro opere al tempo determinato, secondo che si
               era convenuto d'accordo. Con i quali avanzi e donativo maritai una
               delle mie sorelle, e poco dopo ne feci un'altra monaca nelle Murate
               d'Arezzo, dando al monasterio oltre alla dote, o vero limosina, una

               tavola  d'una  Nunziata  di  mia  mano,  con  un  tabernacolo  del
               Sacramento in essa tavola accomodato, la quale fu posta dentro nel
               loro coro, dove stanno a ufiziare.

               Avendomi poi dato a fare la Compagnia del Corpus Domini d'Arezzo la
               tavola dell'altar maggiore di San Domenico, vi feci dentro un Cristo

               deposto  di  croce,  e  poco  appresso  per  la  Compagnia  di  San  Rocco
               cominciai la tavola della loro chiesa in Firenze. Ora, mentre andava
               procacciandomi sotto la protezione del duca Alessandro onore, nome
               e facultà, fu il povero signore crudelmente ucciso, et a me levato ogni

               speranza  di  quello  che  io  mi  andava,  mediante  il  suo  favore,
               promettendo dalla fortuna. Per che mancati, in pochi anni, Clemente,
               Ipolito et Alessandro, mi risolvei, consigliato da Messer Ottaviano, a
               non volere più seguitare la fortuna delle corti, ma l'arte sola, se bene

               facile sarebbe stato accomodarmi col signor Cosimo de' Medici nuovo
               duca. E così tirando innanzi in Arezzo la detta tavola, e facciata di
               San Rocco con l'ornamento, mi andava mettendo a ordine per andare
               a Roma, quando per mezzo di Messer Giovanni Pollastra, come Dio

               volle (al quale sempre mi sono raccomandato e del quale riconosco
               et ho riconosciuto sempre ogni mio bene), fu' chiamato a Camaldoli,
               capo  della  congregazione  camaldolense,  dai  padri  di  quell'eremo  a
               vedere quello che disegnavano di voler fare nella loro chiesa. Dove

               giunto,  mi  piacque  sommamente  l'alpestre  et  eterna  solitudine  e
               quiete di quel luogo santo, e se bene mi accorsi di prima giunta che
               que'  padri  d'aspetto  venerando,  veggendomi  così  giovane,  stavano
               sopra di loro, mi feci animo e parlai loro di maniera, che si risolverono

               a volere servirsi dell'opera mia nelle molte pitture che andavano nella
               loro chiesa di Camaldoli a olio et in fresco. Ma dove volevano che io
               innanzi a ogni altra cosa facessi la tavola dell'altar maggiore, mostrai
               loro con buone ragioni che era meglio far prima una delle minori, che

               andavano  nel  tramezzo,  e  che  finita  quella,  se  fusse  loro  piaciuta,
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