Page 1952 - Giorgio Vasari
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finalmente il suo trionfo, ma questo non fu finito del tutto. Nel qual
tempo, ancor che io non avessi se non poco più di diciotto anni, mi
dava il Duca sei scudi il mese di provisione, il piatto a me, et un
servitore, e le stanze da abitare, con altre molte commodità. Et ancor
che io conoscessi non meritar tanto a gran pezzo, io facea nondimeno
tutto che sapeva con amore e con diligenza; né mi pareva fatica
dimandare a' miei maggiori quello che io non sapeva, onde più volte
fui d'opera e di consiglio aiutato dal Tribolo, dal Bandinello e da altri.
Feci adunque in un quadro alto tre braccia esso duca Alessandro,
armato e ritratto di naturale, con nuova invenzione et un sedere fatto
di prigioni legati insieme e con altre fantasie. E mi ricorda che oltre al
ritratto, il quale somigliava, per far il brunito di quell'arme bianco,
lucido e proprio, che io vi ebbi poco meno che a perdere il cervello,
cotanto mi affaticai in ritrarre dal vero ogni minuzia. Ma disperato di
potere in questa opera accostarmi al vero, menai Iacopo da
Puntormo, il quale io per la sua molta virtù osservava, a vedere
l'opera e consigliarmi; il quale, veduto il quadro e conosciuta la mia
passione, mi disse amorevolmente: "Figliuol mio, insino a che queste
arme vere e lustranti stanno a canto a questo quadro, le tue ti
parranno sempre dipinte, perciò che se bene la biacca è il più fiero
colore che adoperi l'arte, e nondimeno più fiero e lustrante è il ferro.
Togli via le vere e vedrai poi che non sono le tue finte armi così
cattiva cosa, come le tieni". Questo quadro, fornito che fu, diedi al
Duca, et il Duca lo donò a Messer Ottaviano de' Medici, nelle cui case
è stato insino a oggi, in compagnia del ritratto di Caterina allora
giovane sorella del detto Duca e poi Reina di Francia, e di quello del
magnifico Lorenzo Vecchio. Nelle medesime case sono tre quadri pur
di mia mano e fatti nella mia giovanezza. In uno Abramo sacrifica
Isac, nel secondo è Cristo nell'orto, e nell'altro la cena che fa con
gl'Apostoli.
Intanto, essendo morto Ipolito cardinale, nel quale era la somma
collocata di tutte le mie speranze, cominciai a conoscere quanto sono
vane, le più volte, le speranze di questo mondo, e che bisogna in se
stesso, e nell'essere da qualche cosa, principalmente confidarsi. Dopo
quest'opere, veggendo io che il Duca era tutto dato alle fortificazioni