Page 1951 - Giorgio Vasari
P. 1951
dopo abbozzai di colori la tela, che era lunga dieci braccia.
Avendo poi a partire il cardinale per la volta d'Ungheria, fattomi
conoscere a papa Clemente, mi lasciò in protezione di Sua Santità
che mi dette in custodia del signor Ieronimo Montaguto suo maestro
di camera, con lettere che volendo io fuggire l'aria di Roma quella
state, io fussi ricevuto a Fiorenza dal duca Alessandro, il che sarebbe
stato bene che io avessi fatto; perciò che volendo io pure stare in
Roma, fra i caldi, l'aria e la fatica, amalai di sorte, che per guarire fui
forzato a farmi portare in ceste ad Arezzo. Pure, finalmente guarito
intorno alli dieci del dicembre vegnente, venni a Fiorenza dove fui dal
detto Duca ricevuto con buona cera, e poco appresso dato in custodia
al magnifico Messer Ottaviano de' Medici, il quale mi prese di maniera
in protezzione, che sempre, mentre visse, mi tenne in luogo di
figliuolo; la buona memoria del quale io riverirò sempre e ricorderò
come d'un mio amorevolissimo padre.
Tornato dunque ai miei soliti studii, ebbi comodo, per mezzo di detto
signore, d'entrare a mia posta nella sagrestia nuova di San Lorenzo,
dove sono l'opere di Michelagnolo, essendo egli di quei giorni andato
a Roma, e così le studiai per alcun tempo con molta diligenza così
come erano in terra. Poi, messomi a lavorare, feci in un quadro di tre
braccia un Cristo morto, portato da Niccodemo, Gioseffo et altri alla
sepoltura, e dietro le Marie piangendo. Il quale quadro, finito che fu,
l'ebbe il duca Alessandro, con buono e felice principio de' miei lavori;
perciò che non solo ne tenne egli conto mentre visse, ma è poi stato
sempre in camera del duca Cosimo, et ora è in quella dell'illustrissimo
Principe suo figliuolo, et ancora che alcuna volta io abbia voluto
rimettervi mano per migliorarlo in qualche parte, non sono stato
lasciato.
Veduta dunque questa mia prima opera, il duca Alessandro ordinò
che io finissi la camera terrena del palazzo de' Medici, stata lasciata
imperfetta, come s'è detto, da Giovanni da Udine. Onde io vi dipinsi
quattro storie de' fatti di Cesare: quando, notando, ha in una mano i
suoi comentarii et in bocca la spada; quando fra abruciare i scritti di
Pompeo, per non vedere l'opere de' suoi nemici; quando, dalla
fortuna in mare travagliato, si dà a conoscere a un nocchieri; e