Page 1785 - Giorgio Vasari
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Giunone, Ercole, che in ogni stanza era uno di questi nomi, con le sue
istorie in diversi partimenti, come ancora l'altre camere e sale che
erano sotto queste avevano il nome degli eroi di casa Medici,
cominciando da Cosimo Vecchio, Lorenzo, Leone Decimo, Clemente
Settimo, el signor Giovanni, el duca Alessandro e duca Cosimo, nelle
quali per ciascuna erano non solamente le storie de' fatti loro, ma
loro ritratti e de' figliuoli e di tutte le persone antiche, così di governo
come d'arme e di lettere, ritratte di naturale, delle quali aveva scritto
il Vasari un dialogo ove si dichiarava tutte le istorie et il fine di tutta
l'invenzione, e come le favole di sopra s'accomodassino alle istorie di
sotto, le quali gli fur lette da Annibal Caro, che n'ebbe grandissimo
piacere Michelagnolo. Questo dialogo, come arà più tempo il Vasari,
si manderà fuori.
Queste cose causorono che desiderando il Vasari di metter mano alla
sala grande, e perché era, come s'è detto altrove, il palco basso che
la faceva nana e cieca di lumi, et avendo desiderio di alzarla non si
voleva risolvere il duca Cosimo a dargli licenzia ch'ella si alzasse. Non
che 'l Duca temesse la spesa, come s'è visto poi, ma il pericolo di
alzare i cavagli del tetto 13 braccia sopra; dove sua eccellenza come
giudiziosa consentì che s'avessi il parere da Michelagnolo, visto in
quel modello la sala come era prima, poi levato tutti que' legni e
postovi altri legni con nuova invenzione del palco e delle facciate,
come s'è fatto da noi, e disegnata in quella insieme l'invenzione delle
istorie, che piaciutagli ne diventò subito non giudice, ma parziale,
vedendo anche il modo e la facilità dello alzare i cavagli e 'l tetto et il
modo di condurre tutta l'opera in breve tempo. Dove egli scrisse nel
ritorno del Vasari al Duca che seguitassi quella impresa, che l'era
degna della grandezza sua. Il medesimo anno andò a Roma il duca
Cosimo con la signora duchessa Leonora sua consorte, e
Michelagnolo, arrivato il Duca, lo andò a vedere subito, il quale
fattogli molte carezze, lo fece, stimando la sua gran virtù, sedere a
canto a sé, e con molta domestichezza ragionandogli di tutto quello
che sua eccellenza aveva fatto fare di pittura e di scultura a Fiorenza,
e quello che aveva animo di volere fare, e della sala particularmente,
di nuovo Michelagnolo ne lo confortò e si dolse, perché amava quel