Page 1712 - Giorgio Vasari
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di marmo, quanto il vivo, et appresso una figura di un Bacco di palmi
               dieci che ha una tazza nella man destra e nella sinistra una pelle d'un
               tigre  et  un  grappolo  d'uve,  che  un  satirino  cerca  di  mangiargliene,
               nella  qual  figura  si  conosce  che  egli  ha  voluto  tenere  una  certa
               mistione di membra maravigliose, e particolarmente avergli dato la

               sveltezza della gioventù del maschio e la carnosità e tondezza della
               femina:  cosa  tanto  mirabile,  che  nelle  statue  mostrò  essere
               eccellente  più  d'ogni  altro  moderno,  il  quale  fino  allora  avesse

               lavorato. Per il che nel suo stare a Roma acquistò tanto nello studio
               dell'arte,  ch'era  cosa  incredibile  vedere  i  pensieri  alti  e  la  maniera
               difficile, con facilissima facilità da lui esercitata, tanto con ispavento
               di quegli che non erano usi a vedere cose tali, quanto degli usi alle
               buone,  perché  le  cose  che  si  vedevano  fatte,  parevano  nulla  al

               paragone  delle  sue.  Le  quali  cose  destarono  al  cardinale  di  San
               Dionigi, chiamato il cardinale Rovano franzese, disiderio di lasciar per
               mezzo di sì raro artefice qualche degna memoria di sé in così famosa

               città, e gli fé fare una Pietà di marmo tutta tonda, la quale finita fu
               messa in San Pietro nella cappella della Vergine Maria della Febbre
               nel  tempio  di  Marte.  Alla  quale  opera  non  pensi  mai  scultore,  né
               artefice raro potere aggiugnere di disegno, né di grazia, né con fatica
               poter mai di finezza, pulitezza e di straforare il marmo tanto con arte,

               quanto Michelagnolo vi fece, perché si scorge in quella tutto il valore
               et il potere dell'arte. Fra le cose belle vi sono, oltra i panni divini suoi
               si scorge il morto Cristo, e non si pensi alcuno di bellezza di membra

               e d'artificio di corpo vedere uno ignudo tanto ben ricerco di muscoli,
               vene, nerbi, sopra l'ossatura di quel corpo, né ancora un morto più
               simile  al  morto  di  quello.  Quivi  è  dolcissima  aria  di  testa,  et  una
               concordanza nelle appiccature e congiunture delle braccia et in quelle
               del  corpo  e  delle  gambe,  i  polsi  e  le  vene  lavorate,  che  invero  si

               maraviglia lo stupore che mano d'artefice abbia potuto sì divinamente
               e propriamente fare in pochissimo tempo cosa sì mirabile; che certo è
               un miracolo che un sasso da principio senza forma nessuna, si sia mai

               ridotto a quella perfezzione che la natura a fatica suol formar nella
               carne. Poté l'amor di Michelagnolo e la fatica insieme in questa opera
               tanto, che quivi (quello che in altra opera più non fece) lasciò il suo
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