Page 1674 - Giorgio Vasari
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che volendo il Papa finire l'opera della sala de' re, gl'aveva commesso
               che si trovassero uomini, i quali ne cavassero una volta le mani, e
               che perciò, mosso dall'antica amicizia e d'altre cagioni, lo pregava a
               voler andare a Roma per fare quell'opera, con bona grazia e licenzia
               del  Duca  suo  signore;  perciò  che  con  suo  molto  onore  et  utile  ne

               farebbe  piacere  a  Sua  Beatitudine,  e  che  acciò  quanto  prima
               rispondesse.  Alla  quale  lettera  rispondendo,  il  Vasari  disse  che,
               trovandosi stare molto bene al servizio del Duca et essere delle sue

               fatiche rimunerato altrimenti che non era stato fatto a Roma da altri
               pontefici,  voleva  continuare  nel  servigio  di  sua  eccellenza  per  cui
               aveva da mettere allora mano a molto maggior sala che quella de' re
               non  era,  e  che  a  Roma  non  mancavano  uomini  di  chi  servirsi  in
               quell'opera. Avuta il detto vescovo dal Vasari questa risposta, e con

               Sua  Santità  conferito  il  tutto,  dal  cardinale  Emulio,  che  novamente
               aveva avuto cura dal Pontefice di far finire quella sala, fu compartita
               l'opera, come s'è detto, fra molti giovani, che erano parte in Roma e

               parte furono d'altri luoghi chiamati. A Giuseppe Porta da Castel Nuovo
               della  Carfagnana,  creato  del  Salviati,  furono  date  due  [del]le
               maggiori  storie  della  sala;  a  Girolamo  Siciolante  da  Sermoneta
               un'altra delle maggiori et un'altra delle minori; a Orazio Sammacchini
               bolognese  un'altra  minore,  et  a  Livo  da  Furlì  una  simile;  a

               Giambattista  Fiorini  bolognese  un'altra  delle  minori.  La  qual  cosa
               udendo Taddeo e veggendosi escluso, per essere stato detto al detto
               cardinale Emulio che egli era persona che più attendeva al guadagno

               che alla gloria e che al bene operare, fece col cardinale Farnese ogni
               opera per essere anch'egli a parte di quel lavoro, ma il cardinale non
               si  volendo  in  ciò  adoperare,  gli  rispose  che  gli  dovevano  bastare
               l'opere  di  Caprarola  e  che  non  gli  pareva  dovere  che  i  suoi  lavori
               dovessero  essere  lasciati  indietro  per  l'emulazioni  e  gare  degli

               artefici, aggiungendo ancora che quando si fa bene sono l'opere che
               danno nome ai luoghi, e non i luoghi all'opere. Ma ciò nonostante,
               fece tanto Taddeo con altri mezzi appresso l'Emulio, che finalmente

               gli  fu  dato  a  fare  una  delle  storie  minori  sopra  una  porta,  non
               potendo, né per preghi o altri mezzi, ottenere che gli fusse conceduto
               una  delle  maggiori.  E  nel  vero  dicono  che  l'Emulio  andava  in  ciò
               rattenuto  perciò  che,  sperando  che  Giuseppo  Salviati  avesse  a
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