Page 1673 - Giorgio Vasari
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e Durante del Nero, ambidue dal Borgo Sansepolcro, i quali
condussono le stanze del primo piano. A sommo la scala, fatta a
lumaca, dipinse la prima stanza Santi Zidi, pittore fiorentino, che si
portò molto bene e la maggior, ch'è a canto a questa, dipinse il sopra
detto Federigo Zucchero, fratello di Taddeo, e di là da questa,
condusse un'altra stanza Giovanni dal Carso Schiavone, assai buon
maestro di grottesche. Ma ancor che ciascuno dei sopra detti si
portasse benissimo, nondimeno superò tutti gli altri Federigo in
alcune storie che vi fece di Cristo, come la Transfigurazione, le nozze
di Cana Galilea et il centurione inginocchiato. E di due, che ne
mancavano, una ne fece Orazio Sammacchini, pittore bolognese, e
l'altra un Lorenzo Costa mantovano; il medesimo Federigo Zucchero
dipinse in questo luogo la loggetta, che guarda sopra il vivaio, e dopo
fece un fregio in Belvedere nella sala principale, a cui si saglie per la
lumaca, con istorie di Moisè e Faraone, belle a fatto. Della qual opera
ne diede, non ha molto, esso Federigo il disegno fatto e colorito di
sua mano in una bellissima carta al reverendo don Vincenzio
Borghini, che lo tiene carissimo e come disegno di mano d'eccellente
pittore. E nel medesimo luogo dipinse il medesimo l'Angelo che
amazza in Egitto i primigeniti, facendosi, per fare più presto, aiutare
a molti suoi giovani. Ma nello stimarsi da alcuni le dette opere, non
furono le fatiche di Federigo e degl'altri riconosciute come dovevano,
per essere in alcuni artefici nostri, in Roma, a Fiorenza e per tutto,
molti maligni che, accecati dalle passioni e dall'invidie, non
conoscono o non vogliono conoscere l'altrui opere lodevoli et il difetto
delle proprie. E questi tali sono molte volte cagione ch'i begl'ingegni
de' giovani, sbigottiti, si raffreddano negli studii e nell'operare.
Nell'offizio della Ruota dipinse Federigo, dopo le dette opere, intorno
a un'arme di papa Pio Quarto, due figure maggior del vivo, cioè la
Giustizia e l'Equità, che furono molto lodate, dando in quel mentre
tempo a Taddeo di attendere all'opera di Caprarola et alla capella di
San Marcello. Intanto Sua Santità, volendo finire ad ogni modo la sala
de' re, dopo molte contenzioni state fra Daniello et il Salviati, come
s'è detto, ordinò al vescovo di Furlì quanto intorno a ciò voleva che
facesse, onde egli scrisse al Vasari a dì tre di settembre l'anno 1561,