Page 1659 - Giorgio Vasari
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che Daniello non vi fece cosa niuna più di quello che già avesse fatto
               molto inanzi, et il Salviati non finì quel poco che aveva cominciato,
               anzi gli fu anco quel poco dalla malignità d'alcuni gettato per terra.

               Finalmente  Daniello  dopo  quattro  anni  (quanto  a  lui  apparteneva)
               arebbe  gettato  il  già  detto  cavallo,  ma  gli  bisognò  indugiare  molti
               mesi,  più  di  quello  che  arebbe  fatto,  mancandogli  le  provisioni  che

               doveva fare di ferramenti, metallo et altre materie il signor Ruberto;
               le  quali  tutte  cose  essendo  finalmente  state  provedute,  sotterrò
               Daniello  la  forma,  che  era  una  gran  machina,  fra  due  fornaci  da
               fondere in una stanza molto a proposito che aveva a Monte Cavallo, e

               fonduta la materia, dando nelle spine il metallo, per un pezzo andò
               assai bene, ma in ultimo sfondando il peso del metallo la forma del
               cavallo,  nel  corpo  tutta  la  materia  prese  altra  via,  il  che  travagliò
               molto da principio l'animo di Daniello, ma nondimeno, considerato il

               tutto, trovò la via da rimediare a tanto inconveniente. E così, in capo
               a  due  mesi  gettandolo  la  seconda  volta,  prevalse  la  sua  virtù
               agl'impedimenti della fortuna, onde condusse il getto di quel cavallo
               (che  è  un  sesto,  o  più,  maggiore  che  quello  d'Antonino  che  è  in

               Campidoglio)  tutto  unito  e  sottile  ugualmente  per  tutto.  Et  è  gran
               cosa  che  sì  grand'opera  non  pesa  se  non  venti  migliaia.  Ma  furono
               tanti i disagi e le fatiche che vi spese Daniello, il quale, anzi che non,
               era  di  poca  complessione  e  malinconico,  che  non  molto  dopo

               sopragiunse  un  catarro  crudele  che  lo  condusse  molto  male,  anzi
               dove  arebbe  dovuto  Daniello  star  lieto,  avendo  in  così  raro  getto
               superato  infinite  difficultà,  non  parve  che  mai  poi,  per  cosa  che
               prospera gl'avenisse, si rallegrasse. E non passò molto che il detto

               catarro in due giorni gli tolse la vita a dì quattro d'aprile 1566; ma
               inanzi avendosi preveduta la morte si confessò molto divotamente e
               volle tutti i sacramenti della chiesa, e poi, facendo testamento, lasciò
               che il suo corpo fusse sepellito nella nuova chiesa stata principiata

               alle Terme da Pio Quarto ai monaci certosini, ordinando che in quel
               luogo et alla sua sepoltura fusse posta la statua di quell'Angelo che
               aveva già cominciata per lo portone di Castello. E di tutto diede cura
               (facendogli  in  ciò  essecutori  del  suo  testamento)  a  Michele

               degl'Alberti  fiorentino  et  a  Feliciano  da  San  Vito  di  quel  di  Roma,
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