Page 1586 - Giorgio Vasari
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fece di strane paure ai suoi garzoni e familiari, e così viveva senza
               pensieri. Avendo murata una stanza quasi a uso di vivaio et in quella
               tenendo  molte  serpi  o  vero  biscie  che  non  potevano  uscire,  si
               prendeva grandissimo piacere di stare a vedere, e massimamente di
               state, i pazzi giuochi ch'elle facevano e la fierezza loro. Si ragunava

               nelle sue stanze della Sapienza una brigata di galantuomini, che si
               chiamavano la Compagnia del Paiuolo, e non potevano essere più che
               dodici: e questi erano esso Giovanfrancesco, Andrea del Sarto, Spillo

               pittore,  Domenico  Puligo,  il  Robetta  orafo,  Aristotile  da  San  Gallo,
               Francesco di Pellegrino, Niccolò Boni, Domenico Baccelli, che sonava
               e  cantava  ottimamente,  il  Solosmeo  scultore,  Lorenzo  detto
               Guazzetto  e  Ruberto  di  Filippo  Lippi  pittore,  il  quale  era  loro
               proveditore. Ciascuno de' quali dodici a certe loro cene e passatempi

               poteva menare quattro e non più. E l'ordine delle cene era questo (il
               che  racconto  volentieri  perché  è  quasi  del  tutto  dismesso  l'uso  di
               queste  Compagnie)  che  ciascuno  si  portasse  alcuna  cosa  da  cena,

               fatta  con  qualche  bella  invenzione,  la  quale,  giunto  al  luogo,
               presentava al signore, che sempre era un di loro, il quale la dava a
               chi  più  gli  piaceva,  scambiando  la  cena  d'uno  con  quella  dell'altro.
               Quando erano poi a tavola, presentandosi l'un l'altro, ciascuno avea
               d'ogni cosa, e chi si fusse riscontrato nell'invenzione della sua cena

               con un altro, e fatto una cosa medesima, era condennato. Una sera
               dunque che Giovanfrancesco diede da cena a questa sua Compagnia
               del  Paiuolo,  ordinò  che  servisse  per  tavola  un  grandissimo  paiuolo

               fatto  d'un  tino,  dentro  al  quale  stavano  tutti,  e  parea  che  fussino
               nell'acqua  della  caldaia:  di  mezzo  alla  quale  venivono  le  vivande
               intorno  intorno,  et  il  manico  del  paiuolo,  che  era  alla  volta,  faceva
               bellissima  lumiera  nel  mezzo,  onde  si  vedevano  tutti  in  viso
               guardando intorno. Quando furono adunque posti a tavola dentro al

               paiuolo  benissimo  accomodato,  uscì  del  mezzo  un  albero  con  molti
               rami,  che  mettevono  innanzi  la  cena,  cioè  le  vivande  a  due  per
               piatto;  e  ciò  fatto,  tornando  a  basso,  dove  erano  persone  che

               sonavano,  di  lì  a  poco  risurgeva  di  sopra  e  porgeva  le  seconde
               vivande  e  dopo  le  terze  e  così  di  mano  in  mano,  mentre  attorno
               erano serventi che mescevano preziosissimi vini. La quale invenzione
               del  paiuolo,  che  con  tele  e  pitture  era  accomodato  benissimo,  fu
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