Page 1579 - Giorgio Vasari
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VITA DI GIOVANFRANCESCO RUSTICHI SCULTORE ET
               ARCHITETTO FIORENTINO



               È gran cosa ad ogni modo che tutti coloro i quali furono della scuola
               del giardino di Medici, e favoriti del Magnifico Lorenzo Vecchio, furono
               tutti eccellentissimi. La qual cosa d'altronde non può essere avenuta

               se  non  dal  molto  anzi  infinito  giudizio  di  quel  nobilissimo  signore,
               vero mecenate degl'uomini virtuosi, il quale come sapeva conoscere
               gl'ingegni e spiriti elevati, così poteva ancora e sapeva riconoscergli e
               premiargli.  Portandosi  dunque  benissimo  Giovanfrancesco  Rustici,

               cittadin fiorentino, nel disegnare e fare di terra mentre era giovinetto,
               fu da esso Magnifico Lorenzo, il quale lo conobbe spiritoso e di bello e
               buono  ingegno,  messo  a  stare,  perché  imparasse,  con  Andrea  del
               Verocchio,  appresso  al  quale  stava  similmente  Lionardo  da  Vinci,

               giovane raro e dotato d'infinite virtù; per che piacendo al Rustico la
               bella maniera et i modi di Lionardo, e parendogli che l'aria delle sue
               teste e le movenze delle figure fussono più graziose e fiere che quelle
               d'altri le quali avesse vedute già mai, si accostò a lui, imparato che

               ebbe a gettare di bronzo, tirare di prospettiva e lavorare di marmo, e
               dopo che Andrea fu andato a lavorare a Vinezia. Stando adunque il
               Rustico con Lionardo e servendolo con ogni amorevole sommessione,
               gli  pose  tanto  amore  esso  Lionardo,  conoscendo  quel  giovane  di

               buono e sincero animo e liberale e diligente e paziente nelle fatiche
               dell'arte,  che  non  faceva  né  più  qua  né  più  là  di  quello  voleva
               Giovanfrancesco.  Il  quale,  perciò  che  oltre  all'essere  di  famiglia
               nobile, aveva da vivere onestamente, faceva l'arte più per suo diletto

               e  disiderio  d'onore,  che  per  guadagnare.  E  per  dirne  il  vero
               quegl'artefici  che  hanno  per  ultimo  e  principale  fine  il  guadagno  e
               l'utile e non la gloria e l'onore, rade volte, ancor che siano di bello e
               buono  ingegno,  riescono  eccellentissimi;  senzaché  il  lavorare  per

               vivere, come fanno infiniti aggravati di povertà e di famiglia et il fare
               non a capricci e quando a ciò sono volti gli animi e la volontà, ma per
               bisogno dalla mattina alla sera, è cosa non da uomini che abbiano
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