Page 1505 - Giorgio Vasari
P. 1505
particolare, senza che chi la conosce per buona non biasimerà
l'opera, ma il nostro debole giudizio e forse la malignità e nostra
cattiva natura. E chi cerca di gratuirsi ad alcuno, d'aggrandire le sue
cose o vendicarsi d'alcuna ingiuria col biasimare o meno stimare di
quel che sono le buone opere altrui, è finalmente da Dio e
dagl'uomini conosciuto per quello che egli è, cioè per maligno,
ignorante, cattivo. Considerate, voi che fate tutti i lavori di Roma,
quello che vi parrebbe se altri stimasse le cose vostre quanto voi fate
l'altrui, mettetevi di grazia ne' piè di questo povero vecchio, e vedrete
quanto lontano siete dall'onesto e ragionevole". Furono di tanta forza
queste et altre parole che disse Giorgio amorevolmente a Perino, che
si venne a una stima onesta e fu sodisfatto Aristotile, il quale con
que' danari, con quelli del quadro mandato, come a principio si disse,
in Franzia, e con gl'avanzi delle sue provisioni, se ne tornò lieto a
Firenze, non ostante che Michelagnolo, il quale gl'era amico, avesse
disegnato servirsene nella fabrica che i romani disegnavano di fare in
Campidoglio. Tornato dunque a Firenze Aristotile l'anno 1547,
nell'andare a baciar le mani al signor duca Cosimo, pregò sua
eccellenza che volesse, avendo messo mano a molte fabriche, servirsi
dell'opera sua et aiutarlo; il qual signore, avendolo benignamente
ricevuto come ha fatto sempre gli uomini virtuosi, ordinò che gli fusse
dato di provisione dieci scudi il mese, et a lui disse che sarebbe
adoperato secondo l'occorrenze che venissero; con la quale
provisione senza fare altro visse alcuni anni quietamente, e poi si
morì d'anni settanta l'anno 1551, l'ultimo dì di maggio, e fu sepolto
nella chiesa de' Servi.
Nel nostro libro sono alcuni disegni di mano d'Aristotile, et alcuni ne
sono appresso Antonio Particini, fra i quali sono alcune carte tirate in
prospettiva bellissime. Vissero ne' medesimi tempi che Aristotile e
furono suoi amici, due pittori, de' quali farò qui menzione
brievemente, però che furono tali che fra questi rari ingegni meritano
d'aver luogo per alcune opere che fecero, degne veramente d'essere
lodate. L'uno fu Iacone e l'altro Francesco Ubertini cognominato il
Bacchiacca. Iacone adunque non fece molte opere, come quegli che
se n'andava in ragionamenti e baie, e si contentò di quel poco che la