Page 1393 - Giorgio Vasari
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architrave et un fregio pieno di lumi e di palle di vetro piene d'acque
stillate, acciò avendo dietro lumi rendessono tutta la stanza
luminosa. Il cielo poi era partito in quattro quadri, larghi ciascuno
dieci braccia per un verso e per l'altro otto, e tanto quanto teneva la
larghezza delle nicchie di quattro braccia, era un fregio che rigirava
intorno intorno alla cornice et alla dirittura delle nicchie, veniva nel
mezzo di tutti vani un quadro di braccia tre per ogni verso. I quali
quadri erano in tutto ventitré, senza uno che n'era doppio sopra la
scena, che faceva il numero di ventiquattro. Et in quest'erano l'Ore,
cioè dodici della notte e dodici del giorno. Nel primo de' quadri grandi
dieci braccia, il quale era sopra la scena, era il Tempo che dispensava
l'Ore ai luoghi loro, accompagnato da Eolo dio de' Venti, da Giunone e
da Iride; in un altro quadro era all'entrare della porta il carro
dell'Aurora, che uscendo delle braccia a Titone andava spargendo
rose, mentre esso carro era da alcuni galli tirato; nell'altro era il carro
del Sole, e nel quarto era il carro della Notte, tirato da barbagianni, la
qual Notte aveva la luna in testa, alcune nottole innanzi e d'ogni
intorno tenebre. De' quali quadri fece la maggior parte Cristofano, e
si portò tanto bene, che ne restò ognuno maravigliato, e
massimamente nel carro della Notte, dove fece di bozze a olio quello
che in un certo modo non era possibile. Similmente nel quadro d'Adria
fece que' mostri marini con tanta varietà e bellezza, che chi gli
mirava rimanea stupito come un par suo avesse saputo tanto.
Insomma, in tutta quest'opera si portò oltre ogni credenza da valente
e molto pratico dipintore, e massimamente nelle grottesche e
fogliami. Finito l'apparato di quella festa, stettono in Vinezia il Vasari
e Cristofano alcuni mesi, dipignendo al Magnifico Messer Giovanni
Cornaro il palco o vero soffittato d'una camera, nella quale andarono
nove quadri grandi a olio. Essendo poi pregato il Vasari da Michele
San Michele architettore veronese di fermarsi in Vinezia, si sarebbe
forse volto a starvi qualche anno, ma Cristofano ne lo dissuase
sempre, dicendo che non era bene fermarsi in Vinezia, dove non si
tenea conto del disegno, né i pittori in quel luogo l'usavano, senzaché
i pittori sono cagione che non vi s'attende alle fatiche dell'arti, e che
era meglio tornare a Roma, che è la vera scuola dell'arti nobili e vi è
molto più riconosciuta la virtù che a Vinezia. Aggiunte adunque alla