Page 1334 - Giorgio Vasari
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preparava, che 'l Duca ebbe a mandare per cose d'importanza Luca

               Martini  a  Genova,  il  quale  sì  perché  amava  il  Vinci  e  per  averlo  in
               compagnia  e  sì  ancora  per  dare  a  lui  qualche  diporto  e  sollazzo  e
               fargli  vedere  Genova,  andando  lo  menò  seco.  Dove  mentre  che  i
               negozii  si  trattavano  dal  Martini,  per  mezzo  di  lui  Messer  Adamo

               Centurioni dette al Vinci di fare una figura di San Giovanni Batista,
               della quale egli fece il modello. Ma tosto venutagli la febbre, gli fu,
               per  raddoppiare  il  male  insieme,  ancora  tolto  l'amico,  forse  per

               trovare che 'l fato s'adempiesse nella vita del Vinci. Fu necessario a
               Luca per lo 'nteresse del negozio a lui commesso, che egli andasse a
               trovare il Duca a Firenze, laonde partendosi dall'infermo amico con
               molto  dolore  dell'uno  e  dell'altro,  lo  lasciò  in  casa  l'abate  nero  e
               strettamente a lui lo raccomandò, benché egli mal volentieri restasse

               in  Genova.  Ma  il  Vinci  ogni  dì  sentendosi  peggiorare,  si  risolvé  a
               levarsi  di  Genova,  e  fatto  venire  da  Pisa  un  suo  creato  chiamato
               Tiberio Cavalieri, si fece con l'aiuto di costui condurre a Livorno per

               acqua  e  da  Livorno  a  Pisa  in  ceste.  Condotto  in  Pisa  la  sera  a
               ventidua ore, travagliato et afflitto dal cammino e dal mare e dalla
               febbre, la notte mai non posò e la seguente mattina in sul far del
               giorno passò all'altra vita, non avendo dell'età sua ancora passato i
               ventitré  anni.  Dolse  a  tutti  gli  amici  la  morte  del  Vinci  et  a  Luca

               Martini  eccessivamente,  e  dolse  a  tutti  gli  altri,  i  quali  s'erano
               permesso di vedere dalla sua mano di quelle cose che rare volte si
               veggono, e Messer Benedetto Varchi, amicissimo alle sue virtù et a

               quelle di ciascheduno, gli fece poi per memoria delle sue lode questo
               sonetto:


               Come potrò da me, se tu non presti

               forza, o tregua al mio gran duolo interno,

               soffrirlo in pace mai, Signor superno,

               che fin qui nuova ogn'or pena mi desti?

               Dunque de' miei più cari or quegli, or questi

               verde sen voli all'alto asilo eterno,
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