Page 1293 - Giorgio Vasari
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stato da Niccolò allevato, come proprio figliuolo, gli diede la miseria
d'una piccola somma di danari e quanto poté prima se lo levò
d'intorno. E così tornato Niccolò ad Arezzo mal contento, conobbe che
dove pensava aversi con fatica e spesa allevato un figliuolo, si aveva
fatto poco meno che un nimico. Per poter dunque sostentarsi andava
lavorando ciò che gli veniva alle mani, sì come aveva fatto molti anni
innanzi, quando dipinse, oltre molte altre cose, per la comunità di
Monte San Sovino, in una tela, la detta terra del monte et in aria una
Nostra Donna e dagli lati due Santi. La qual pittura fu messa a uno
altare nella Madonna di Vertigli, chiesa dell'Ordine de' monaci di
Camaldoli non molto lontana dal Monte, dove al Signore è piaciuto e
piace far ogni giorno molti miracoli e grazie a coloro che alla Regina
del cielo si raccomandano.
Essendo poi creato sommo pontefice Giulio Terzo, Niccolò, per essere
stato molto familiare della casa di Monte, si condusse a Roma vecchio
d'ottanta anni, e baciato il piede a Sua Santità, la pregò volesse
servirsi di lui nelle fabbriche che si diceva aversi a fare al Monte, il
qual luogo avea dato in feudo al Papa il signor duca di Fiorenza. Il
Papa adunque, vedutolo volentieri, ordinò che gli fusse dato in Roma
da vivere senza affaticarlo in alcuna cosa et a questo modo si
trattenne Niccolò alcuni mesi in Roma, disegnando molte cose
antiche per suo passatempo. Intanto, deliberando il Papa
d'accrescere il Monte San Sovino sua patria e farvi, oltre molti
ornamenti, un acquidotto, perché quel luogo patisce molto d'acque,
Giorgio Vasari, ch'ebbe ordine dal Papa di far principiar le dette
fabbriche, raccomandò molto a Sua Santità Niccolò Soggi, pregando
che gli fusse dato cura d'essere soprastante a quell'opere; onde,
andato Niccolò ad Arezzo con queste speranze non vi dimorò molti
giorni che, stracco dalle fatiche di questo mondo, dagli stenti e dal
vedersi abandonato da chi meno dovea farlo, finì il corso della sua
vita, et in San Domenico di quella città fu sepolto. Né molto dopo
Domenico Giuntalochi, essendo morto don Ferrante Gonzaga, si partì
di Milano, con intenzione di tornarsene a Prato, e quivi vivere
quietamente il rimanente della sua vita; ma non vi trovando né amici,
né parenti e conoscendo che quella stanza non faceva per lui, tardi