Page 1289 - Giorgio Vasari
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È  openione  ancora  d'alcuni  che  di  mano  del  medesimo  sia  una
               tavoletta che è nella Compagnia di San Pier martir[e] in sulla piazza
               di  San  Domenico  di  Prato,  dove  sono  molti  ritratti  di  naturale,  ma
               secondo me, quando sia vero che così sia, ella fu da lui fatta inanzi a
               tutte l'altre sue sopra dette pitture. Dopo questi lavori, partendosi di

               Prato  Niccolò  sotto  la  disciplina  del  quale  avea  imparato  i  principii
               dell'arte della pittura Domenico Giuntalochi, giovane di quella terra di
               bonissimo  ingegno,  il  quale  per  aver  appreso  quella  maniera  di

               Niccolò non fu di molto valore nella pittura, come si dirà, se ne venne
               per lavorare a Fiorenza. Ma veduto che le cose dell'arte di maggiore
               importanza si davano a' migliori e più eccellenti e che la sua maniera
               non era secondo il far d'Andrea del Sarto, del Puntormo, del Rosso e
               degli  altri,  prese  partito  di  ritornarsene  in  Arezzo,  nella  quale  città

               aveva più amici, maggior credito e meno concorrenza. E così avendo
               fatto,  subito  che  fu  arrivato,  conferì  un  suo  desiderio  a  Messer
               Giuliano Bacci, uno de' maggiori cittadini di quella città, e questo fu

               che  egli  desiderava  che  la  sua  patria  fusse  Arezzo,  e  che  per  ciò
               volentieri arebbe preso a far alcun'opera che l'avesse mantenuto un
               tempo nelle fatiche dell'arte, nelle quali egli arebbe potuto mostrare
               in  quella  città  il  valore  della  sua  virtù.  Messer  Giuliano,  adunque,
               uomo ingegnoso e che desiderava abellire la sua patria, e che in essa

               fussero  persone  che  attendessero  alle  virtù,  operò  di  maniera  con
               gl'uomini che allora governavano la Compagnia della Nunziata, i quali
               avevano fatto di quei giorni murare una volta grande nella lor chiesa

               con  intenzione  di  farla  dipignere,  che  fu  allogato  a  Niccolò  un  arco
               delle facce di quella, con pensiero di fargli dipignere il rimanente se
               quella prima parte, che aveva da fare allora, piacesse agl'uomini di
               detta Compagnia. Messosi dunque Niccolò intorno a quest'opera con
               molto  studio,  in  due  anni  fece  la  metà,  e  non  più  di  uno  arco,  nel

               quale  lavorò  a  fresco  la  Sibilla  tiburtina  che  mostra  a  Ottaviano
               imperadore  la  Vergine  in  cielo  col  Figliuol  Gesù  Cristo  in  collo  et
               Ottaviano, che con reverenza l'adora. Nella figura del quale Ottaviano

               ritrasse il detto Messer Giuliano Bacci et in un giovane grande che ha
               un  panno  rosso,  Domenico  suo  creato,  et  in  altre  teste  altri  amici
               suoi.  Insomma  si  portò  in  quest'opera  di  maniera,  che  ella  non
               dispiacque agl'uomini di quella Compagnia, né agl'altri di quella città.
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