Page 1269 - Giorgio Vasari
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quali anche sostenevano parte del peso, essendo il cavallo in atto di
               saltare  e  con  le  gambe  dinanzi  alte  in  aria,  e  le  dette  tre  figure
               rapresentavano  tre  provincie  state  da  esso  imperador  domate  e
               vinte. Nella quale opera mostrò Domenico non intendersi meno della
               scultura  che  si  facesse  della  pittura.  A  che  si  aggiugne  che  tutta

               quest'opera  aveva  messa  sopra  un  castel  di  legname  alto  quattro
               braccia,  con  un  ordine  di  ruote  sotto,  le  quali  mosse  da  uomini
               dentro,  erano  fatte  caminare.  Et  il  disegno  di  Domenico  era  che

               questo  cavallo,  nell'entrata  di  Sua  Maestà,  essendo  fatto  andare
               come  s'è  detto,  l'accompagnasse  dalla  porta  infino  al  palazzo  de'
               Signori e poi si fermasse in sul mezzo della piazza. Questo cavallo,
               essendo stato condotto da Domenico a fine, che non gli mancava se
               non esser messo d'oro, si restò a quel modo, perché Sua Maestà per

               allora non andò altrimenti a Siena, ma coronatasi in Bologna si partì
               d'Italia e l'opera rimase imperfetta. Ma nondimeno fu conosciuta la
               virtù et ingegno di Domenico, e molto lodata da ognuno l'eccellenza e

               grandezza di quella machina, la quale stette nell'Opera del Duomo da
               questo tempo insino a che, tornando Sua Maestà dall'impresa d'Africa
               vittoriosa, passò a Messina e di poi a Napoli, Roma e finalmente a
               Siena, nel qual tempo fu la detta opera di Domenico messa in sulla
               piazza del Duomo, con molta sua lode.

               Spargendosi  dunque  la  fama  della  virtù  di  Domenico,  il  prencipe

               Doria,  che  era  con  la  corte,  veduto  che  ebbe  tutte  l'opere  che  in
               Siena erano di sua mano, lo ricercò che andasse a lavorare a Genova
               nel  suo  palazzo,  dove  avevano  lavorato  Perino  del  Vaga,  Giovan
               Antonio da Pordenone e Girolamo da Trevisi. Ma non poté Domenico

               prometter a quel signore d'andare a servirlo allora, ma sì bene altra
               volta, per avere in quel tempo messo mano a finir nel Duomo una
               parte del pavimento di marmo, che già Duccio pittor sanese aveva
               con nuova maniera di lavoro cominciato. E perché già erano le figure

               e storie in gran parte disegnate in sul marmo, et incavati i dintorni
               con  lo  scarpello  e  ripieni  di  mistura  nera,  con  ornamenti  di  marmi
               colorati  attorno,  e  parimente  i  campi  delle  figure,  vidde  con  bel
               giudizio Domenico che si potea molto quell'opera migliorare, per che,

               presi marmi bigi, acciò facessino nel mezzo dell'ombre, accostate al
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