Page 1024 - Giorgio Vasari
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nella  quale  figurarono  il  Nilo  e  'l  Tebro  di  Belvedere  antichi.  A  San
               Simeone  fecero  la  facciata  de'  Gaddi,  ch'è  cosa  di  maraviglia  e  di
               stupore nel considerarvi dentro i belli e tanti varii abiti, l'infinità delle
               celate  antiche,  de'  soccinti,  de'  calzari  e  delle  barche,  ornate  con
               tanta  leggiadria  e  copia  d'ogni  cosa,  che  imaginar  si  possa  un

               sofistico  ingegno.  Quivi  la  memoria  si  carica  di  una  infinità  di  cose
               bellissime, e quivi si rappresentano i modi antichi, l'effigie de' savi e
               bellissime  femmine,  Perché  vi  sono  tutte  le  spezie  de'  sacrifizii

               antichi,  come  si  costumavano,  e  da  che  s'imbarca  uno  essercito,  a
               che combatte con variatissima foggia di strumenti e d'armi, lavorate
               con  tanta  grazia  e  condotte  con  tanta  pratica,  che  l'occhio  si
               smarrisce nella copia di tante belle invenzioni. Dirimpetto a questa è
               un'altra  facciata  minore,  che  di  bellezza  e  di  copia  non  potria

               migliorare, dov'è nel fregio la storia di Niobe quando si fa adorare e
               le genti che portano tributi e vasi e diverse sorti di doni; le quali cose
               con tanta novità, leggiadria, arte, ingegno e rilievo espresse egli in

               tutta  questa  opera,  che  troppo  sarebbe  certo  narrarne  il  tutto.
               Seguitò  appresso  lo  sdegno  di  Latona  e  la  miserabile  vendetta  ne'
               figliuoli della superbissima Niobe, e che i sette maschi da Febo e le
               sette femmine da Diana le sono ammazzati, con un'infinità di figure
               di  bronzo  che  non  di  pittura,  ma  paiono  di  mettallo.  E  sopra,  altre

               storie  lavorate  con  alcuni  vasi  d'oro  contrafatti  con  tante  bizzarrie
               dentro,  che  occhio  mortale  non  potrebbe  imaginarsi  altro,  né  più
               bello, né più nuovo, con alcuni elmi etrusci da rimaner confuso per la

               moltiplicazione e copia di sì belle e capricciose fantasie ch'uscivano
               loro  de  la  mente.  Le  quali  opere  sono  state  imitate  da  infiniti  che
               lavorano  di  sì  fatt'opere.  Fecero  ancora  il  cortile  di  questa  casa,  e
               similmente  la  loggia,  colorita  di  grotteschine  picciole,  che  sono
               stimate  divine.  Insomma  ciò  che  eglino  toccarono,  con  grazia  e

               bellezza  infinita  assoluto  renderono.  E  s'io  volessi  nominare  tutte
               l'opere loro, farei un libro intero de' fatti di questi due soli, perché
               non è stanza, palazzo, giardino, né vigna, dove non siano opere di

               Polidoro e di Maturino.
               Ora, mentre che Roma ridendo s'abbelliva delle fatiche loro et essi

               aspettavano  premio  de'  proprii  sudori,  l'invidia  e  la  fortuna
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