Page 2217 - Shakespeare - Vol. 4
P. 2217
E tanta è qui la furia che l’assale,
che dal suo petto è espulsa la pazienza.
Sinone immoto squarcia con le unghie, 119
e lo confronta all’ospite suo infausto,
per il cui atto ora se stessa aborre.
Si ferma infine, e sorridendo dice:
«Sciocca, non gli fan male le ferite».
Così va e viene il corso del suo affanno,
e il tempo stanca il tempo coi suoi pianti.
Cerca la notte e dopo agogna il giorno,
ma entrambi poi le sembran troppo lunghi.
Nel suo dolore è lungo un tempo breve:
di rado dorme, anche se stanca, pena,
e sa chi veglia quanto è lento il tempo.
Quella lentezza il suo pensiero ha eluso
per tutto il tempo che ha osservato il quadro;
perché, mentr’ella assorta contemplava
le immagini del male altrui dipinto,
il suo, da sé distolto, decresceva.
Giova, se pur nessuno n’è guarito,
pensar che un altro ha il tuo dolor patito.
Ma già col messaggero fa ritorno
Collatino assieme ai suoi amici.
Vestita a lutto trova egli Lucrezia,
con gli occhi scoloriti tanto ha pianto,
e cerchi blu, come arcobaleni,
che altre tempeste sembrano annunciare
oltre alle piogge appena terminate.
Vedendola il marito è stupefatto,
e guarda fisso la sua triste faccia;
benché zuppi di pianto ha gli occhi in fiamme,
le guance uccise da mortali angosce.
Non riesce a domandare come stia;