Page 2213 - Shakespeare - Vol. 4
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si vedon molte madri rallegrarsi
               dei loro figli in armi luccicanti;
               ma la speranza ha gesti così strani
               che dalla gioia vedi trasparire,

               come luce macchiata, la paura.



               Dalla Dardania riva, ov’è la pugna,
               il sangue corre fino al Simoenta,
               che cerca di imitare la battaglia:

               dapprima scaglia i suoi rigonfi flutti
               contro le sponde, e dopo li ritira
               per radunarne ancora e dar l’assalto
               alle sue sponde con più vaste schiere.



               Giunge Lucrezia a questo bel dipinto,

               cercando un volto che ogni pena mostri.
               Molti ne vede che un dolore incide,
               nessuno in cui abbian dimora tutti,
               finché Ecuba non vede, disperata,
               che fissa Priamo sanguinante, steso

               sotto il calcagno superbo di Pirro.



               Lì c’è l’anatomia della rovina
               di tempo e di bellezza, e regna pena;
               le gote son crepate dalle rughe,

               dell’Ecuba d’un tempo nulla resta.
               Il sangue azzurro è nero in ogni vena,
               secca la fonte ed i canali vizzi,
               la vita imprigionata in corpo morto.



               Lucrezia, fissa su quest’ombra triste,

               conforma il suo al dolore della vecchia,
               cui per risponder mancan solo voce
               e ingiurie da scagliare ai suoi nemici;
               ma non ne ha: non era un dio il pittore.

               Lucrezia gli rinfaccia che è un gran torto
               dar tanta pena e poi non dar la lingua.
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