Page 2206 - Shakespeare - Vol. 4
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e la mia viva fama lascio tutta
               a chi dei vivi non mi accusi d’onta.



               «Sii tu l’esecutore, Collatino;
               vedrai tu stesso come fui tradita.
               Ogni calunnia lavi il sangue mio,

               da bella fine sia pulito il torto.
               Di’ forte “Così sia’’, debole cuore,
               cedi alla mano ch’ora ti conquista,

               ché morti entrambi, entrambi avrete vinto».


               Decisa ormai la sua triste congiura,

               asciuga all’occhio le salate perle.
               Con voce rotta chiama poi l’ancella,
               che subito obbedisce; vola svelto

               il dovere sopra le ali del pensiero.
               Campi innevati che si van sgelando
               le sembrano le gote di Lucrezia.



               L’ancella dà il buongiorno alla signora,
               con voce dolce, segno di modestia;

               ne osserva triste il volto addolorato,
               ché di dolore il volto suo è vestito;
               ma chiedere non osa quale eclissi
               abbia oscurato tanto i suoi due soli,

               né quale pena inondi le sue gote.



               Piange la terra quando cala il sole,
               e i fiori sembran occhi lacrimanti.
               Così si gonfian gli occhi ora all’ancella,
               per simpatia coi soli che nel cielo

               della signora sua van tramontando
               in un salato mare che li spegne;
               rugiada piange allora anche l’ancella.



               Le due creature sembrano due fonti
               d’avorio in una vasca di corallo.
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