Page 2205 - Shakespeare - Vol. 4
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«La sua quieta dimora è saccheggiata,
               la casa sua abbattuta dal nemico,
               il tempio profanato e devastato
               dal rude assedio dell’audace infamia.

               Empietà dunque chi potrà mai dire
               se apro una breccia nel mio forte guasto,
               ché l’anima turbata possa uscirne?



               «Ma prima Collatino deve udire

               la causa della mia precoce morte,
               che a chi m’ha spinto a spegnermi il respiro
               egli possa giurar la sua vendetta.
               Lascio a Tarquinio questo sangue infetto,               108
               che avendolo insozzato poi lo spenda:

               così sta scritto nel mio testamento.



               «L’onore mio lo lascio a quel coltello
               che l’infamato corpo mi ferisca.
               È onore spegner vita senza onore;
               ché questo vive quando quella muore.

               Nutran la fama mia ceneri d’onta,
               ché col morire ammazzo la vergogna,
               e morta lei, l’onore mio rinasce.



               «Signore della gemma ch’ho perduto,

               cosa lasciarti in questo testamento?
               Vanto ti sia l’amore mio e il coraggio,
               ti sian d’esempio per la tua vendetta.
               Leggilo in me, come trattar Tarquinio:

               amica tua, la tua nemica uccido,
               tu a lui, per amor mio, fagli altrettanto.



               «Sia questo il sunto del mio testamento:
               anima e corpo ai cieli ed alla terra;
               prendilo tu, marito, il mio coraggio;

               l’onore a quel coltello che mi uccida;
               l’onta la lascio a chi m’ha tolto fama;
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