Page 2203 - Shakespeare - Vol. 4
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A volte il suo dolore, muto, tace,
ed altre è come un pazzo e parla troppo.
I canti mattutini degli uccelli
le fanno raddoppiare i suoi lamenti:
la gioia, per la pena, è una ferita;
in gaia compagnia chi è triste muore,
l’angoscia trova amici nell’angoscia:
la sola cura del dolore vero
è nella simpatia d’altro dolore.
Naufragio sotto riva è doppia morte;
vedere il cibo affama l’affamato;
brucia la piaga nel veder la cura;
duole il dolore innanzi al suo sollievo;
la grande pena è come un lento fiume
che ostacolato inghiotte le sue sponde:
beffata, ignora il limite e la legge.
«Beffardi uccelli», dice, «seppellite
i vostri canti nel piumoso petto,
e siate muti per l’orecchio mio;
l’inquieta mia discordia non vuol quiete.
Chi è triste non sopporta ospiti gai.
Suonate i vostri trilli a orecchi lieti;
l’angoscia, mentre piange, vuol lamenti.
«Tu che hai cantato stupro, Filomela,
ti siano triste bosco i miei capelli; 106
come la terra piange del tuo strazio,
così verserò lacrime a ogni nota
e t’accompagnerò coi miei singhiozzi;
io ti farò bordone con Tarquinio,
tu canterai svariando di Tereo.
«Mentre le spine manterranno sveglio
il tuo dolore, 107 sventurata anch’io