Page 2193 - Shakespeare - Vol. 4
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«Guasta di miasmi l’aria del mattino;
               che fiato infetto ammorbi la suprema,
               pura bellezza sua prima che stanco
               giunga a toccar la vetta meridiana.

               Che la sua luce affoghi nella densa
               muffa dei tuoi vapori, onde tramonti
               a mezzogiorno in un’eterna notte.



               «Fosse Tarquinio notte, e non suo figlio,

               l’argentea regina oltraggerebbe;
               né più rilucerebbero le ancelle,          100
               offese anch’esse, nel notturno seno.
               La loro compagnia m’allevierebbe
               la pena; così abbrevia il suo cammino

               parlando coi compagni il pellegrino.



               «Nessuno, invece, che con me arrossisca,
               che con conserte braccia chini il capo,
               mascheri il volto e la sua infamia occulti;
               io sola ho da sedere sola e affranta,

               d’argentee lacrime salando il suolo,
               mischiando pianto a voce e pene a grida,
               segni caduchi di dolore eterno.



               «Notte, fornace d’ammorbato fumo,

               fa che il curioso giorno ignori il volto
               che sotto il vasto tuo mantello nero
               giace, immodesto martire, infamato!
               Serba il possesso dei tuoi cupi stati,

               ch’ogni fallo compiuto nel tuo regno
               resti sepolto dentro l’ombra tua.



               «Non dir di me al giorno chiacchierone:
               la luce leggerà sul volto mio
               la storia della castità perduta,

               del santo voto delle nozze infranto;
               anche gli analfabeti, che non sanno
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