Page 2192 - Shakespeare - Vol. 4
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lui freme che il mattino giunga presto,
lei prega di non più vedere il giorno:
«Ché il giorno svela i falli della notte»,
dice, «né mai ho esercitato gli occhi
a mascherar le offese con l’astuzia.
«Essi son certi che ogni altro occhio
potrà vedere ciò che vedon loro;
e dunque preferiscono la notte,
che la non vista colpa sia non detta.
Perché piangendo la disveleranno,
e come l’acquaforte sull’acciaio
m’incideranno l’onta sulle guance».
Qui prende ad insultar riposo e sonno,
e agli occhi suoi cecità eterna ingiunge.
Si batte il petto risvegliando il cuore,
e gli ordina di uscire per trovarsi
cassa più pura dentro cui serrarsi.
Poi, folle di dolore, così accusa
l’oscura segretezza della notte:
«Oh infernale assassina della quiete,
tetro notaio che registri l’onta,
nera scena di crimini e tragedie,
balia d’obbrobrio, Caos che occulta il male!
Ruffiana cieca, porto dell’infamia,
grotta di morte, congiurata muta
che cospiri con stupro e tradimento!
«Oh notte di foschie e vapori odiosi,
giacché hai la colpa del mio fallo orrendo,
chiama le nebbie a soffocare l’alba
ed al corso del tempo muovi guerra:
o se permetti al sole di levarsi,
prima che torni a letto, il capo d’oro
circondagli di nubi avvelenate.