Page 2186 - Shakespeare - Vol. 4
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dal seno della terra sgorga un soffio
               che sperde la caligine e ritarda
               lo scroscio: così lei, parlando, frena
               la foga empia di lui. Mentre Orfeo suona

               Plutone corrucciato chiude gli occhi.



               Ma scherza, lui; come di notte il gatto,
               che tra le zampe stringe il topo ansante.
               Di lei, mesta, rapace lui si nutre,

               abisso che più smania se più inghiotte.              88
               Egli ode le preghiere, ma il suo cuore
               sbarra ogni entrata; l’acqua rode il marmo,
               ma a lui la brama cresce al di lei pianto.



               Gli occhi di lei, imploranti, sono fissi

               sulle spietate rughe del suo volto;
               casta eloquenza, di sospiri mista,
               di maggior grazia adorna l’orazione.
               Fuori di posto spesso mette il punto,
               e poiché a metà frase si interrompe,

               deve iniziar due volte ogni discorso.



               Lo supplica per Giove onnipotente,
               rango, cavalleria, dolce amicizia,
               amor di sposo, pianto prematuro,

               umane e sante leggi, buona fede,
               e cielo e terra ed il poter d’entrambi,
               che torni al letto che gli è stato dato,
               e onore, non un’empia brama, ascolti.



               «Non ripagar di sì nera moneta»,

               ella gli dice, «l’ospitalità.
               Non infangar la fonte che disseta,
               e non guastare ciò che non s’aggiusta.
               Lascia la mira prima di scoccare;

               chi tende l’arco suo contro la cerva
               appena nata, non è un vero arciere.              89
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