Page 2159 - Shakespeare - Vol. 4
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Gioia e dolore in te son degli estremi,
onde disperi e speri e muovi al riso:
t’adula l’una con incerte fole,
t’ammazza l’altro con racconti certi.
Ciò che lei stessa ha ordito adesso disfa,
Adone è vivo, e morte è un’innocente;
mica era lei che prima la ingiuriava,
anzi, al suo odioso nome or rende onori:
re delle tombe, tomba di re la dice,
d’ogni cosa mortale imperatrice.
«Ma no, scherzavo», dice, «dolce morte,
scusami, ma m’ero un po’ impaurita
vedendo quella belva di cinghiale,
che pietà ignora, e sempre incrudelisce;
e allora, ombra gentile, lo confesso,
temendo Adone morto, t’ho insultata.
«La colpa non è mia, ma del cinghiale,
puniscilo, invisibile sovrana;
è lui, l’abbietto, che ha inventato il torto,
io sono stata solamente il braccio.
Due lingue ha il dolore, ma non basta
di dieci donne il senno per frenarle».
Così, sperando che il suo Adone viva,
e perché ne fiorisca la bellezza,
i suoi troppi sospetti adesso attenua,
ed umilmente adula la morte:
le parla di trofei, statue, sepolcri,
ne enumera le glorie ed i trionfi.
«Giove», dice, «che stupida son stata
a piangere la morte di chi vive,
né può morir finché la specie umana
per mutuo annientamento non s’estingua!