Page 2161 - Shakespeare - Vol. 4
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e aperti gettan luce riluttanti
               sull’ampio squarcio che il cinghiale ha aperto
               nel fianco molle, il cui candore è zuppo
               del rosso sangue che la piaga ha pianto.

               Non c’è erba, fiore o foglia che il suo sangue
               non rubi, e assieme a lui non si dissangui.



               Nota ella la solenne simpatia,
               e china il capo su una spalla; muta

               patisce, e prende a delirare; pensa
               che non è morto, che non può morire;
               non riesce a muoversi, non può parlare,
               gli occhi rimpiangono d’aver già pianto.



               Fissa la piaga tanto che la vista

               le mostra tre ferite; allora sgrida
               l’occhio che squarci triplica crudele
               dove dovrebbe non vederne alcuno;
               un doppio volto vede e un doppio corpo,
               ché l’occhio sbaglia se la mente è scossa.




               «Due Adoni morti», dice, «e la mia lingua
               non basta a dir lo strazio d’uno solo!
               Non ho più pianto, non ho più sospiri,
               ho gli occhi in fiamme e il cuore è tutto piombo;

               sciogliti, piombo, al loro rosso fuoco,
               ch’io muoia liquefatta di passione!



               «Povero mondo, che tesoro hai perso!
               Che viso resta, degno d’esser visto?
               Che lingua è musica oramai? Di cosa

               ti vanterai, già stata o da venire?
               Son dolci i fiori, e freschi, ma bellezza
               con lui viveva e con lui è morta.



               «Basta cappelli e veli, o voi creature!
               Non voglion più baciarvi sole e vento,
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