Page 2156 - Shakespeare - Vol. 4
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che, vinto da paura esangue e dubbio,
di prostrazione gela ogni suo senso,
come la truppa, arreso il capitano,
fugge vigliacca, e più non tiene il campo.
Così sta lei, attonita e tremante;
finché, animando i sensi sbigottiti,
non dice fantasia senza motivo,
puerile errore ciò che li impaurisce;
ma mentre a non temere e non tremare
li esorta, innanzi a sé vede il cinghiale:
lorda di rosso la sua bocca schiuma,
come del sangue misto a latte. Un nuovo
terror le invade ora le membra, e folle
la spinge neanche lei sa dove: corre
di qua, ma poi si ferma e torna indietro
per accusare il verro di assassinio.
Per mille vie la spingon mille pene;
lascia un sentiero e subito ci torna;
gli indugi danno scacco alla sua fretta;
è come l’ubriaco, il cui cervello
soppesa tutto, ma in realtà poi niente,
tutto intraprende, e nulla porta a effetto.
Trova acquattato in una macchia un cane,
e al disgraziato chiede del padrone;
un altro lì si lecca le ferite,
unica cura a piaghe avvelenate;
ne trova un terzo con lo sguardo triste,
gli parla e lui risponde mugolando.
Cessa il pietoso lagno ed ecco un altro,
nero, truce, con il labbro pendulo,
scaglia il suo lamento contro il cielo,
e un altro ed altri ancora gli fan eco,