Page 2155 - Shakespeare - Vol. 4
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«O luminoso Iddio», gli dà il buongiorno
               Venere, «signore di ogni luce,
               che a ciascun lume e chiara stella presti
               il bell’influsso che li fa brillare,

               di mortal madre       48  un figlio c’è che luce
               prestar potrebbe a te, ch’altrui la presti».



               Col che, di mirti a un folto ella s’affretta,
               stupendo che il mattino ormai sia pieno,

               e nulla nuova ancor del suo amor s’oda;
               tende l’orecchio ai suoi segugi e al corno;
               ed ecco che lo sente suonar alto,
               ed in gran fretta al suo clamor s’accosta.



               Corre, e un arbusto sulla via le cinge

               il collo, un altro le dà un bacio in volto,
               un altro per la coscia la trattiene;
               dal loro abbraccio ella si strappa e pare
               cerva sgravata che con poppe gonfie
               corre a nutrir nel folto il suo cerbiatto.          49




               Sente che i cani fermano una preda,
               e trasalisce, come chi abbia visto
               attorta in spire vipera mortale
               sul suo cammino, e di terrore tremi.

               Così il guaito pavido dei cani
               le gela i sensi e l’animo le turba.



               Ché adesso sa: non è caccia gentile,
               ma un orso, o un leone, o un cinghiale,
               perché sta fermo il grido, là ove i cani

               vociano, impauriti da un nemico
               tanto tremendo che ciascuno cede
               all’altro l’alto onor d’attaccar primo.



               Triste è all’orecchio suo l’orrendo urlio:
               le irrompe in corpo sorprendendo il cuore,
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