Page 2147 - Shakespeare - Vol. 4
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Così lei langue nella sua sventura,
uccello innanzi a bacca senza succo;
e i caldi effetti che in lui trova assenti
cerca d’accender con continui baci.
Invano, gran regina, non funziona;
tutto il tentabile l’ha ormai tentato,
ma misero è il compenso a tanta arringa;
è Amore, ama, eppure non è amata.
«Ma dai», fa lui, «mi schiacci, fammi andare,
con che diritto insisti a trattenermi?»
E lei: «Taciuto avessi del cinghiale,
saresti già partito, bimbo mio;
attento: tu non sai che sia ferire
col giavellotto aguzzo il verro irsuto,
che mai inguainate zanne sempre arrota,
beccaio orrendo intento a macellare.
«Sul dorso curvo ha schiere di puntute
picche con cui minaccia i suoi nemici;
lucciole accese ha gli occhi se irritato;
col grugno, ovunque vada, scava tombe;
irato, assale tutto ciò che incontra;
la curva zanna ammazza chi colpisce.
«Di setole muniti, i forti fianchi
respingono la punta della lancia;
arduo è colpirne il collo corto e duro;
quand’è infuriato assale anche il leone:
spinose siepi ed intricati rovi
gli s’aprono dinnanzi per paura.
«Ahimè, non stima egli questo tuo volto,
cui d’amor gli occhi pagano tributo;
né dolci mani e labbra ed occhi chiari
tanto perfetti che stupisce il mondo;