Page 2139 - Shakespeare - Vol. 4
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La gota, testé pallida, ora scaglia
               fuoco, come fulmine dal cielo.



               Davanti a lui, seduto, or s’inginocchia,
               umile amante, e con la mano bella
               gli alza il cappello, mentre l’altra, molle,

               più molle gota sfiora, su cui imprime
               il segno della sua soffice mano:
               così la neve fresca ogni orma mostra.



               Oh, che battaglia d’occhi fu ingaggiata!
               Implorano i di lei quelli di lui,

               questi non vedon quelli, e quelli ancora
               insistono a blandire e son sdegnati;
               mentre un coro di lacrime commenta

               l’azione dell’intera pantomima.



               Soave ora lo prende per la mano,
               giglio ingabbiato in carcere di neve,
               o avorio legato in alabastro,
               sì bianco amico bianco nemico serra:

               bella tenzone tra no e sì, siccome
               colombi che sì beccano, d’argento.



               Riprende a macinare ella i pensieri:
               «Bellissimo tra ciò che ha moto in terra,
               fossi tu me, e fossi io un uomo,

               ed il mio cuore intatto e il tuo ferito,
               un dolce sguardo e accorrerei in tuo aiuto,
               dovessi anche morire per guarirti».



               «Rendi la mano», dice lui; «ché stringi?»

               «Rendimi il cuore», dice lei, «e l’avrai;
               che senò il cuore tuo lo farà acciaio
               che gemito d’amor non può scalfire;
               dolci sospiri mai più potrò udire,
               poi che il tuo cuore il mio avrà indurito».
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