Page 2137 - Shakespeare - Vol. 4
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Che serve l’ira al cavaliere, o il suo
               suadente «Buono» oppure «Vuoi star fermo?»
               Che giovan barbazzale, aguzzo sprone,
               ricca gualdrappa, briglie colorate?

               Altro che l’amor suo non vede, nulla
               altro s’accorda al suo orgoglioso sguardo.



               Guarda il pittore in gara con la vita
               quando ritrae un destriero ben formato,

               che in arte vuole vincere natura,
               e far che il morto viva più del vivo:
               così questo cavallo eccelle ogni altro
               in forma, color, passo, ossa e coraggio.



               Lunghi garretti, giunti snelli, unghia

               tonda, occhio e petto pieni, capo stretto,
               collo alto, grandi froge, orecchie corte,
               gamba dritta, crine fino, coda fitta,
               gran cosce e pelle liscia: solo manca
               a tanta bestia un pari cavaliere.




               A tratti fugge e di lì guarda fisso,
               poi trasalisce al moto di una piuma.
               Ora s’accinge a gareggiar col vento,
               e non si sa se corra oppure voli:

               canta un gran vento di tra crine e coda
               che s’agitano come ali piumate.



               Lui guarda l’amor suo, e le nitrisce;
               lei gli risponde, come indovinasse,
               insuperbita, come fan le donne,

               che corteggiate fanno le scontrose:
               spregia il suo amore e il caldo che lui sente,
               risponde a calci ai suoi gentili abbracci.



               Allora melanconico, scontento,
               cala la coda che, siccome piuma,
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