Page 2116 - Shakespeare - Vol. 4
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occisa?  Comunque  sia,  il  suo  suicidio  non  può  essere  affatto  attribuito
          «all’amore della pudicizia», ma solo «al timore del disonore», il che significa
          che Lucrezia, da vera romana, era «laudis avida» (I, xix). Il severo verdetto
          agostiniano  continua  a  vigere  nel XVI  secolo.  William  Tyndale,  il  grande

          traduttore  biblico,  concorda  pienamente:  Lucrezia  «nella  castità  cercava  la
          gloria  propria,  e  non  quella  di  Dio».  Ma  questo,  rincara  Tyndale  con
          protestante eloquenza nell’Obedience of a Christian Man, altro non è che il
          peccato  capitale  dell’orgoglio,  «il  quale  orgoglio  Dio  aborre  più  del

          puttaneggiamento  di  qualsiasi  puttana»  (which  pryde  god  more  abhorreth
          then the whordome of anye whor).
          Che Lucrezia si tolga la vita per «timore del disonore» e ricercando «la gloria
          propria» è poco ma sicuro. Come riferiscono Livio e Ovidio, Tarquinio, prima

          di stuprarla, minaccia di ammazzare, oltre che lei, anche un suo servo; poi
          avrebbe messo i due nello stesso letto e avrebbe detto di averli sorpresi in
          flagrante  e  uccisi.  In  siffatta  situazione  Lucrezia  «soccombe»,  come  dice
          Ovidio, famae metu, «per timore della fama». Costretta a scegliere non tra

          morte e disonore, ma tra morte e disonore apparente da un lato, e vita e
          disonore  segreto  dall’altro,  Lucrezia  sceglie  momentaneamente  la  vita  e  il
          disonore segreto − ma è solo un modo per conquistarsi subito dopo «lode»
          pubblica, togliendo a sé la vita e a Tarquinio (e alla monarchia) l’onore. In

          questa  vicenda  “classica”  non  c’è  molto  posto  per  la  tragedia,  almeno  nel
          senso shakespeariano, in cui l’interesse principale suole risiedere nel fato di
          una vittima che al tempo stesso ne è anche il principale agente. Tragico in
          questo senso è piuttosto Tarquinio.

          Senonché  dare  interesse  “tragico”  anche  a  Lucrezia,  sottraendola  così
          all’imputazione  che  Coleridge  rivolge  alle  caste  eroine  di  Beaumont  e
          Fletcher, e che Agostino rivolge alla concezione romana dell’onore, significa
          quasi  fatalmente  imboccare,  con  lo  stesso  Agostino,  la  via  della  bassa

          diffamazione. Che ciò sia in qualche modo implicito nell’abbandono del punto
          di vista classico, in cui l’onore è essenzialmente pubblico, lo prova il cristiano
          Chaucer, in cui Lucrezia assume per la prima volta la posa “morale” di una
          martire della castità (nella Legende of Good Women, la sezione su Lucrezia

          reca la dicitura Incipit Legenda Lucrecie, Rome, Martiris). Testimoni dell’onore
          sono, dal punto di vista romano, gli occhi del mondo, davanti ai quali lo si
          perde e lo si riconquista; dal punto di vista cristiano, testimoni sono gli occhi
          della coscienza, che per il pubblico è però assai meno visibile. Ed ecco che,

          quasi dovesse difendersi dalle illazioni di Agostino e garantirci dell’invisibile
          purezza della sua coscienza, in Chaucer Lucrezia al momento cruciale non ha
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