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di tensione; perché, oltre che ostili e incompatibili, quei termini sono anche
          inseparabili e interdipendenti. Come nelle future “commedie problematiche” il
          conflitto  tra  valori  opposti  viene  assunto  come  condizione  permanente.  C.
          Hulse  nota  che  questa  «sofisticata  rielaborazione  di  un  mito  letterario»

          giunge sorprendentemente vicina al recupero di ciò che secondo Lévi-Strauss
          è  la  funzione  del  mito  primario:  il  fornire  un  ponte  tra  valori  in  conflitto
          mediante  «una  serie  di  apparati  di  mediazione,  ognuno  dei  quali  genera  il
          successivo  mediante  un  processo  di  opposizione  e  correlazione».  In  questo

          senso il poemetto potrebbe essere definito «il mito personale di Shakespeare,
          un modo di percepire e riconciliare i paradossi dell’esperienza».
          Parlando  della vastità  Elias  Canetti  la  definisce  «il  poter  contenere  in  sé
          moltissime  cose,  anche  tra  loro  contraddittorie,  sapere  che  tutto  ciò  che

          sembra  inconciliabile  sussiste  tuttavia  in  un  suo  ambito,  e  questo  sentirlo
          senza  perdersi  nella  paura,  e  anzi  sapendo  che  bisogna  chiamarlo  col  suo
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          nome e meditarci sopra: ecco la vera gloria della natura umana».  Venere e
          Adone, a suo modo, senza solennità, ne partecipa.





          «Lucrezia»

          Accompagnato  da  una  protesta  di  «amore  senza  fine»  per  il  medesimo

          Southampton, Lucrece venne pubblicato nel 1594. Si tratta dunque di quella
          «più  grave  fatica»  che  l’anno  prima  Shakespeare  aveva  promesso  al  suo
          «nobile padrino», nel caso in cui Venere e Adone, il «primo erede» della sua
          invenzione,  non  avesse  dovuto  apparire  «deforme»  al  dedicatario.  Il  che,

          evidentemente,  non  avvenne.  Com’è  notato  dalla  quasi  totalità  dei
          commentatori,  i  due  poemetti  sembrano  formare  una  specie  di  dittico
          simmetricamente contrappuntato, in cui la seconda tavola rovescia la prima.
          A  cominciare  dal  soggetto,  perché  «dopo  aver  contrapposto  il  desiderio

          insoddisfatto  alla  riluttanza»,  nota  G.  Bullough,  «Shakespeare  ci  dà  ora  il
          desiderio  soddisfatto  con  la  forza.  Lo  stupro  che  Venere,  come  Salmacide,
          desiderava compiere, senza riuscirvi a causa della sua debolezza femminile,
          viene  qui  portato  a  termine  con  maschile  brutalità».  Il  primo  poemetto  si

          svolge  tutto  all’aperto,  su  una  sorta  di  sfondo  pastorale  giorgionesco  con
          conigli, cani, cavalli e cinghiali; il secondo è tutto notturno e al chiuso, in una
          livida oscurità caravaggesca squarciata dalla luce di una torcia. Il primo è una
          commedia mitologica, usa il metro già usato da Lodge per il suo poemetto

          ovidiano, e come genere è all’ultimo grido in fatto di moda rinascimentale. Il
          secondo  ha  un  aspetto  assai  più old-fashioned: è una tragedia storica (nel
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