Page 3004 - Shakespeare - Vol. 3
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[a parte] Lucio e Lucullo? Mah!
TIMONE
[a Flavio] E tu, amico, va’ dai senatori,
dei quali, avendo io fatto il massimo per Atene,
ho meritato l’ascolto. Chiedi al Senato
di mandarmi all’istante mille talenti.
FLAVIO
Ho osato, sapendo che era l’uso generale,
rivolgermi a loro usando il vostro nome
e sigillo; ma scuotono il capo ed io
torno non più ricco di prima.
TIMONE
È vero? Può essere?
FLAVIO
Rispondono con voce unanime e concorde
che c’è la crisi, mancano di fondi,
non possono fare ciò che vorrebbero,
spiacenti; voi siete un uomo d’onore
ma avrebbero preferito − non sanno che −
qualcosa è andato storto − una natura nobile
può sbandare − vorrebbero che tutto
andasse bene − che peccato − e così,
adducendo altri affari importanti, dopo
sguardi disgustati e mezze parole,
con saluti appena abbozzati e freddi
cenni del capo, mi gelano e sto zitto.
TIMONE
O dei, ricompensateli!
E tu, amico, sta’ allegro. In questi vecchi
l’ingratitudine è ereditaria, il loro sangue è melmoso,
è freddo, scorre a stento, e la mancanza
di calore naturale rende loro stessi innaturali.