Page 2617 - Shakespeare - Vol. 2
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e con gesti ridicoli e sguaiati che lui,
impudente, chiama imitazione,
di noi tutti fa una grande farsa.
A volte, grande Agamennone, impersona
il tuo smisurato potere, e come un attore vanaglorioso
la cui presunzione sta tutta nei garretti,
e che si gloria tutto nell’udire il legnoso dialogo
tra il suo goffo andirivieni e l’assito,
recita la tua grandezza
sì da sembrar pietoso e più che esagerato;
quando parla sembra una campana fessa,
quel che dice è così rozzo da sembrare
iperbolico sulla lingua del ruggente Tifone.
E, di fronte a questo guitto, Achille grande e grosso
stravaccato sul suo letto sfatto, si mette
ad applaudire con risatacce sonore e grida:
“Bravissimo! È Agamennone sputato! Ora fammi
Nestore, schiarisciti la gola e accarezzati la barba
come fa lui quando sta per parlare”.
E Patroclo lo fa, avvicinandosi al suo modello
quanto due parallele fra loro, e gli somiglia
quanto Vulcano è simile a sua moglie.
Ma il divo Achille è ancora lì che grida:
“Bravissimo! È Nestore sputato! E ora fallo
quando deve alzarsi di notte e prendere le armi
per un allarme improvviso”. Ecco che gli acciacchi
dell’età diventano oggetto di divertimento,
e lui tossisce, sputa, brancica con mani malferme
la gorgiera e non gli riesce mai d’allacciarla.
E lì di fronte c’è Ser Valore tutto sbellicato:
“Basta Patroclo, oppure fammi costole d’acciaio
che le mie non reggono a questo grande ridere”.
Così ogni nostra abilità, virtù, forma, natura,
ogni talento di ognuno e di tutti,
le nostre gesta, i nostri piani, ordini, difese,
incitamenti a battersi, trattative, vittorie,
sconfitte, tutto ciò che è o che non è
diventa oggetto di beffa per quei due.