Page 2303 - Shakespeare - Vol. 2
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riprendere  l’opinione  del  dottor  Johnson,  il  quale  diceva  che  il  secondo
          Falstaff è innamorato per finta. Il che è ancora un malinteso, una limitazione
          e incomprensione degli aspetti psicologici e strutturali della commedia. Oggi
          non  mi  pare  più  legittimo  un  giudizio  che  vuol  rinchiudere,  per  così  dire,

          l’animo di Falstaff nella casella fissa di uno humour, dandogli un’etichetta che
          trascura la complessità dei sentimenti di un personaggio così umano, e che lo
          estrapola  dal  contesto  degli  altri  temi  del play.  Ma  la  lezione  che  ci  dà  la
          grande  commedia,  come  quella  della  tragedia,  è  una  dura  lezione.  È  più

          comodo non volerla sentire, e invece di pensare limitarsi a ridere.




          Nota al testo



          Testo, data e fonti

          The Merry Wives of Windsor appare a stampa in un in-quarto dell’inizio del
          1602 (l’edizione è ristampata nel 1619) con un lungo titolo imbonitorio che la
          assegna a Shakespeare e la dice rappresentata già varie volte «sia dinanzi a

          sua maestà che altrove». Poi la commedia riappare nel famoso in-folio del
          1623, in un testo assai più ben scritto e coerente che è lungo quasi il doppio
          di quello dell’in-quarto, con cinque nuove scene (IV, i e V, i-iv) e una divisione
          in atti e scene assente nella stampa del 1602. Questo testo riappare in un
          terzo in-quarto del 1630, ed è scelto da allora in poi dai curatori, a cominciare

          dal Rowe (1709), come il testo indubbiamente migliore. Il secondo curatore
          di Shakespeare, il poeta Alexander Pope, fu il primo nel 1723 a confrontare
          l’in-folio  e  l’in-quarto  del  1619,  e  ad  accettare  lezioni  di  quest’ultimo,

          massime quella del finto nome di Ford, Brooke al posto dell’indubbio errore
          Broome  dell’in-folio.  E  gli  editori  successivi  ricorsero  regolarmente  all’in-
          quarto per correggere altri errori e carenze dell’in-folio, a cominciare dalla sua
          quasi totale assenza di didascalie e dalle sue censure, dovute probabilmente
          alla legge del 1606 contro gli usi profani del nome di Dio a teatro. Oggi si

          ritiene che il testo dell’in-folio sia sostanzialmente buono, se pur censurato e
          con qualche errore di chi lo copiò da un manoscritto dell’autore. Quanto all’in-
          quarto  del  1602,  ritenuto  a  lungo  una  prima  stesura  dell’opera,  il  filologo

          W.W.  Greg  dimostrò  nel  1910  che  esso  è  un  «cattivo  in-quarto»,  un  testo
          ricostruito a memoria, abbreviato e con tratti inventati, al fine di usarlo in
          qualche  giro  in  provincia,  da  due  attori  che  vi  avevan  recitato  le  parti  di
          Falstaff e dell’oste. Tutti i curatori moderni adottano il testo dell’in-folio con
          correzioni  dall’in-quarto.  Si  è  ampiamente  accettato  l’aneddoto  tradizionale
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