Page 2298 - Shakespeare - Vol. 2
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sottolineare che il beffare e l’esser beffati non si limita alla storia di Falstaff
          ma è cosa intrinseca a tutto il mondo di Windsor. E come lo sport è detto una
          sublimazione  della  violenza,  così  la  beffa  è  sublimazione  dell’inganno:  la
          grande  commedia  si  è  mostrata  sempre  cosciente  delle  sue  due  facce,  di

          scherzo che suscita il riso (come la vedeva Aristotele) e di violenza ai danni di
          una vittima; e anche la commedia delle mogli di Windsor ha due facce: è per
          costoro una commedia a lieto fine, ma per Falstaff una tragicommedia a fine
          amaro e simbolicamente catastrofico.

          Windsor: una brigata che riempie questa city comedy delle sue voci e del suo
          trafficare, ciascuno agitato da propri interessi e ubbìe e umori, dalla voglia di
          asserirsi  e  di  divertirsi  andando  a  caccia,  facendo  correre  cani,  litigando,
          organizzando matrimoni e beffe o semplicemente parlando, chiacchierando: il

          molto rumore per nulla quotidiano di questo microcosmo per niente diverso
          qualitativamente  dal  gran  mondo  della  Storia;  due  mondi  retti  da  uguali
          valori e nei quali il nome di Dio è sempre menzionato invano, o da ciascuno
          per il proprio tornaconto. Questo «coro» invade la scena fin dall’inizio dello

          spettacolo,  e  non  per  «una  falsa  partenza»  o  per  l’avvio  debole  e  poco
          organico  del play,  ma  proprio  per  annunciare  con  una  parodo,  che  oggi
          diremmo  alla  Ionesco,  il  tono  di  fondo  di  quell’imbarcata  di  folli  contro  la
          quale scende in lizza, dotato di diversa follia, l’anarchico cavaliere. I corifei

          dello scalmanato bordone di questa commedia sinfonica, considerata sinora
          con  rare  eccezioni  una  rappresentazione  celebrativa  della merry  England,
          sono  anzitutto  le  due  coppie  dei  Ford  e  dei  Page;  e  sembrano  essere,
          sebbene non lo si dica, piccoli e solidi possidenti, forse già commercianti o

          artigiani che han fatto il capitale: l’emotivo e geloso Ford è un piccolo Otello
          comico-farsesco, e il suo compare Page è un ottimista fiducioso e pacioso, ma
          pronto come la consorte a vender la figlia al migliore offerente. Questi due
          uccellatori uccellati, l’uomo del sospetto e l’uomo del buonsenso, sono dotati

          di due mogli che sembran modelli di casalinghe e padrone di casa, madri di
          famiglia  e  mogli  fedeli:  donne  forti,  indipendenti  e  sicure  di  sé,  armate  di
          furbizia  e  di  parlantina,  gaie  e  salde  custodi  dei  valori  della  loro  classe
          emergente:  madonna  Ford  più  femminile  e  morbida,  madonna  Page  più

          tagliente  e  mascolina.  Esse  rifiutano  come  un  insulto  sanguinoso,  come
          un’offesa  al  ceto  delle  «femministe»  sposate,  il  goffo  e  scoperto  invito  di
          Falstaff ai peccati papisti del bovarismo e dell’adulterio. Da buone esponenti
          di  una  condizione  aurorale,  di  cui  difendono  i  valori  con  le  unghie  e  con  i

          denti, esse pigliano l’invito di quel vecchio enorme, e ben poco affascinante,
          come un oltraggio personale e una minaccia a tutto il loro sistema di vita, che
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