Page 2300 - Shakespeare - Vol. 2
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libretto di Boito e nella musica di Verdi) vien decurtata di una buona metà dei
suoi significati. Non è una commedia «d’amore» incentrata su un simpatico
mascalzone, ma una commedia complessa in cui lo humour è strumento di
conoscenza, una commedia d’azione dalla struttura ad affioramenti alternati e
speculari, tutta un susseguirsi di vicende impreviste, intrighi, imbrogli, beffe e
controbeffe, una commedia della superficie increspata della vita che lascia in
bocca un sapore piccante con più di un pizzico di angostura, idealmente vicina
anzitutto a Jonson e a Machiavelli. Falstaff perderebbe tutto il suo fascino in
un mondo positivo, perché i valori rabelaisiani che egli porta in sé si reggono
sulla sua opposizione ad un mondo degradato. Il giudizio moralistico della
critica anglosassone, che vede nel lavoro l’allegra celebrazione delle salde
virtù delle comari, la giusta punizione del libertino intruso nel mondo dorato
della gaia Inghilterra, e la finale esaltazione della fiducia coniugale, del
matrimonio, della famiglia, assieme a quella della monarchia e dell’Ordine
della Giarrettiera che in Windsor aveva sede, tutta codesta visione in rosa va
certamente corretta, e occorre capire che il commediografo astuto coglie
nella vita di Windsor la negatività etica, il ridicolo, l’ipocrisia e la follia.
Ripeto, proprio in quella visione lucida è la radice, nei drammi storici come in
questa commedia esilarante ed ambigua, della statura di Falstaff come
antieroe comico. Il suo fascino non è dovuto soltanto alla sua pagana e
animalesca vitalità. Nella brigata di Windsor egli è l’unico che sappia
veramente pensare, ed avrebbe potuto scegliere per il suo blasone il motto
della rabelaisiana Abbazia di Thélème: «Fais ce que tu veuls», perché il
vecchio aristocratico libertino è in qualche modo portatore dell’individualismo
anarchico e ribelle del Rinascimento, epoca drammatica e contraddittoria. Col
suo schietto e colto immoralismo, e la sua capacità da grande attore di
vedere le cose da punti di vista diversi, e reso più simpatico dalla sua stessa
debolezza e situazione di perdente, Falstaff si erge contro il moralismo
ipocrita e cretino, l’ottimismo ridanciano e spietato di tutti gli altri.
Le Allegre comari è anche commedia che come le altre di Shakespeare è una
«gran festa del linguaggio», o come dice lo Elam «una commedia delle
avventure e delle disavventure del vernacolo». Nella seconda metà del
Cinquecento inglese gli uomini di lettere provavano un forte interesse per
l’arte del linguaggio e le potenzialità del loro vernacolo come strumento
potente di persuasione e di modificazione della realtà, e con accenti che nel
Sidney e nel teatro, nelle opere di Shakespeare e di altri, sembrano
richiamare gli antichi entusiasmi di un Gorgia da Leontini. Nelle commedie di
Shakespeare il linguaggio − e questa sì è un’indagine nuova, che va ad onore